Mar. 31st, 2022

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Cow-t 12 – Sesta settimana – M3

Prompt: 013. “Se lo accettasse sarebbe tutto molto più semplice”

Fandom: Bungou Stray dogs

Rating: SAFE 

Numero Parole: 4324

Note: SPOILER Stormbringer






Mancavano pochi minuti allo scoccare della mezzanotte, le strade della capitale francese erano diventate sempre più silenziose mentre una pallida luna aveva fatto la propria comparsa dietro l’orizzonte. La città stava scivolando nel sonno cullata dalla calma e quiete che solo l’abbraccio della notte sapeva donare. Per qualche ora anche Parigi poteva concedersi un po’ riposo dal proprio splendore. Era in questi momenti che Rimbaud riusciva a prendere una pausa dai propri doveri, smetteva i panni di spia, e tornava ad indossare quelli di Arthur. Stava diventando sempre più complicato farlo. Ritagliarsi del tempo per se stesso, per annotare i propri pensieri su quel taccuino che ormai si era trasformato in un fedele compagno di viaggio. 


Era reduce da un periodo difficile in cui aveva pensato più volte di non farcela, eppure era riuscito a compiere il proprio dovere. Come sempre. La Guerra aveva imperversato nel vecchio continente chiedendo sforzi considerevoli da parte delle nazioni e dei Governi coinvolti, forse presto si sarebbe giunti ad una tregua. O così auspicava. Troppo sangue era stato versato e vite spezzate. A volte Arthur avrebbe solo desiderato il lusso di poter dimenticare. Ecco perché aveva deciso di iniziare con la stesura di un diario. Mettere nero su bianco i propri ricordi al fine di conservarli per un futuro. Per evitare di commettere gli stessi errori e allo stesso tempo lasciare una traccia della propria esistenza.


Fu quando decise di appuntare la data in alto alla destra dell’ennesimo foglio immacolato che venne colto da un’illuminazione. Era il 29 marzo, anzi ormai solo una manciata di minuti lo separavano al 30. Quattro anni prima, era stato proprio quel giorno in cui aveva fatto irruzione nel laboratorio del Fauno. Era stato allora che aveva conosciuto Black No.12. Paul. 


Era incredibile come il tempo fosse letteralmente volato e di come per poco se ne fosse dimenticato. Avrebbe dovuto festeggiare insieme al proprio compagno. Era una ricorrenza che in qualche modo andava celebrata. Presto sarebbero partiti per un’altra missione in terra straniera e come sempre le possibilità di tornare entrambi erano esigue. Arthur non temeva la morte. Non la propria almeno, ma aveva finito con l’affezionarsi al proprio partner. A quell’essere artificiale che gli avevano affidato e a cui lui aveva insegnato ogni cosa. Tanto che l’idea di perderlo gli era inconcepibile.


Paul. Quel nome si perse in un sussurro, mentre una lieve brezza minacciò la fiamma della candela accesa sul tavolo. Arthur la riparò con la propria mano pensando a come il proprio compagno fosse in qualche modo simile al fuoco. Poteva diventare potente, distruttivo, letale, se lasciato libero di agire incontrollato, ma allo stesso tempo era capace di riscaldare con il proprio calore, illuminare l’ambiente circostante. La sua vita prima di quell'incontro era monotona, grigia, fredda. Arthur Rimbaud esisteva solo per eseguire degli ordini, si era trasformato in uno strumento nelle mani del proprio Paese e come tale veniva usato. Ora invece gli era stata affidata quella piccola fiamma, sarebbe toccato a lui prendersene cura. Avrebbe potuto decidere se appiccare un incendio o utilizzare quel calore per aiutare il prossimo. Paul però non era solo fuoco, era impetuoso come una tempesta e come tale lo aveva travolto. Aveva con la sua sola presenza dato un senso ai suoi giorni. Gli aveva fatto riscoprire un lato umano al quale Arthur credeva di aver per sempre rinunciato. Lo aveva riscaldato dal freddo costante che lo accompagnava. Era stato la sua ancora di salvezza. Tornò ad osservare quella fiamma ignorando l’ennesimo brivido che quel venticello gli aveva provocato. Si strinse la pesante coperta sulle proprie spalle concedendosi ancora qualche istante prima di coricarsi a letto. La luna era stata nascosta da alcune nubi e sulla città era calata di colpo l’oscurità. Appoggiò il calamaio sul tavolo.


Quando pensava a Paul la sua mente si sentiva libera di vagare. Arthur sapeva benissimo quanto quei pensieri potessero rivelarsi pericolosi, per questo soppesava con cura ogni parola prima di riportarla sul proprio taccuino, in mani sbagliate certe informazioni avrebbero potuto rivelarsi letali. Le spie non provano sentimenti, non devono avere affetti, legami. Rimbaud aveva rinunciato ad ogni cosa per inseguire quel sogno che da bambino lo aveva spinto a diventare uno strumento del Governo. Ripensò per un breve istante alla sua famiglia, a Charles, a tutto ciò che si era lasciato alle spalle. Quella però era una vita che apparteneva a Paul Verlaine e quel bambino era morto tanti anni prima. C’era il suo nome su quella tomba in un piccolo paesino sperduto nella campagna francese. Nessuno avrebbe mai potuto collegarlo a lui, solo Charles non si era rassegnato alla sua scomparsa, lo aveva cercato, trovato, solo per perderlo di nuovo. 


Arthur riprese il calamaio in mano.


Quella notte, decise che avrebbe raccontato del suo primo incontro con Paul, le particolari circostanze che li avevano portati a diventare partner. La solo storia. Si trovò ad arrossire per quel pensiero tanto che si affrettò a scacciarlo. Essere una spia lo aveva portato a perdere molto ma aveva saputo offrirgli altrettanto. 


Non si sarebbe mai aspettato nulla di simile. Quando si erano incontrati Arthur era trasformato nell’ombra di se stesso. Si sentiva vuoto, attanagliato da un freddo che lo stava consumando dall’interno e a cui non sembrava esserci rimedio. Aveva cercato disperatamente di rivivere un passato che ormai non gli apparteneva. 


I suoi superiori avevano scoperto di Charles, del sentimento che lo legava al proprio amico d’infanzia come della notte d’amore che avevano consumato prima della sua partenza per Londra. A quel tempo Arthur era stato uno stupido e fin troppo ingenuo. Sperare che quella relazione rimanesse un segreto era stata solo l’ennesima fantasia adolescenziale nella quale aveva tentato invano di rifugiarsi. Una spia non può avere nessun tipo di legame, era stato uno dei primi insegnamenti che aveva ricevuto e a cui non aveva mai dato troppo peso, o almeno fino al giorno in cui aveva perso Charles. Lo avevano arrestato e imprigionato solo per il crimine di averlo amato, di averlo conosciuto. I suoi superiori avevano definito Charles Baudelaire il suo punto debole. Una spia non può averne. Così avevano fatto in modo di allontanarli distruggendo ancora una volta i suoi sogni. Solo in seguito venne informato della prematura scomparsa dell’amico.


Una parte di Arthur non si dava pace. Per colpa del proprio egoismo aveva perso l'unica persona che avesse mai amato. Avrebbe dovuto soffocare quei sentimenti, nasconderli nelle profondità del proprio animo, invece non solo non ne era stato in grado ma aveva finito col perdere quanto di più prezioso avesse. 


Per qualche tempo desiderò solo morire, straziato dal dolore e dalla colpa per quel sentimento che non era stato in grado di controllare. Il gelo che avvertiva nel proprio animo si era intensificato. Non aveva il coraggio di togliersi la vita così si limitava a sopravvivere, giorno dopo giorno. Quella sarebbe stata la sua punizione, vivere in un modo senza amore.


Poco dopo le alte sfere gli affidarono una missione. Nome in codice Fauno. Arthur non si era ancora ripreso dal proprio dolore ma era l’unico trascendentale in grado di tenere testa alla creatura che quella sorta di scienziato pazzo aveva creato. Non conosceva i dettagli, aveva letto il rapporto che i servizi di intelligence gli avevano fornito. Si trattava di un essere artificiale che manipolava la gravità a proprio piacimento, risultato di una serie di esperimenti sulle Abilità Speciali.


Quando Rimbaud vide per la prima volta il potere nascosto in quell’essere chiamato Black No.12 non poté credere ai propri occhi. Era un mostro certo ma di straordinaria bellezza. Non aveva mai visto niente di simile.


Quando la spia francese raggiunse il sotterraneo nel quale si trovavano i membri di quell’Organizzazione antigovernativa non era rimasto in vita nessuno, tranne l’uomo che riconobbe subito come Fauno. Era intento ad impartire ordini alla propria creatura controllandola attraverso il suono della propria voce. Tutto intorno vi era solo morte e devastazione.


Arthur provò pietà per quel bellissimo mostro. Era completamente alla mercé del proprio creatore, sembrava una bambola priva di volontà. 


Grazie alle informazioni in suo possesso distrusse lo strumento con il quale il Fauno manipolava la mente della propria creatura. Fu questione di un istante. Una volta liberato da quell'influsso il biondo si scagliò contro il proprio creatore eliminandolo con una sola mano. Fu uno spettacolo agghiacciante eppure una parte di Arthur ne fu sollevata. Finalmente quell'essere era libero di seguire la propria volontà. Si trovò quasi ad invidiarlo, a lui un simile lusso non sarebbe mai stato concesso.


La candela aveva quasi esaurito la propria fiamma e il camino non gli era mai sembrato tanto distante. Ricordare il passato era importante, in qualche modo avrebbe lasciato una traccia di loro. Di ciò che erano stati.


Lo stai facendo veramente solo per questo?


Arthur alzò lo sguardo dal proprio taccuino. Stava ancora descrivendo la sua incursione in quel sotterraneo quando una voce conosciuta lo obbligò ad alzare il volto.


Il fantasma di Charles gli sorrideva in piedi a qualche metro da lui. Una mano appoggiata contro la finestra dalla quale poco prima si era incantato a fissare la luna e da cui entrava una leggera brezza che gli scompigliava i capelli. Era bello come ricordava e non poteva che essere altrimenti. Era solo un’illusione creata dalla propria mente in fondo.


Pensi possa servire veramente a qualcosa?


Lo incalzò nuovamente indicando la sua sessione di scrittura. Rimbaud sapeva a cosa si stesse riferendo con quelle parole, ma non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce. Sarebbe stato come rendere il tutto solo più reale. Non lo avrebbe mai permesso.


Tornò ai propri appunti ignorando quella figura frutto della propria mente che ora lo osservava divertito, in attesa della prossima mossa.


Arthur era arrivato con il descrivere il momento in cui Paul era stato catalogato dal Governo come risorsa preziosa e come fosse stato affidato proprio a lui l’incarico di occuparsene. Rimbaud non si era mai ritenuto un insegnante adatto a quel ruolo. La prima cosa che fece quando gli affidarono quel mostro fu donargli un nome, il proprio. 


Per il mondo Paul Verlaine era morto tanti anni prima, il giorno in cui Arthur Rimbaud era entrato ufficialmente nell’intelligence francese. Non vi poteva essere scelta migliore per quel bellissimo mostro che lo fissava con iridi fredde come il ghiaccio, anelando risposte che lui non possedeva.


Paul. 


A volte mi domando ancora perchè tu abbia scelto fra tutti proprio quel nome


Arthur aveva alzato nuovamente lo sguardo, il fantasma era ancora dove lo aveva lasciato, pronto a metterlo in difficoltà, anzi pareva quasi si stesse divertendo nel farlo. 


“Era il nome che mi avevano affidato i miei genitori. Mi piaceva. Non c’è un motivo preciso” si limitò a sussurrare. Stava parlando con se stesso, doveva essere più stanco del previsto o forse stava già sognando e si era addormentato senza accorgersene.


Il fantasma però non parve soddisfatto da quella risposta.


TU sei Paul Verlaine. Non quel mostro. Sei il mio Paul. Questa verità non cambierà mai


“Adesso stai esagerando Charles. Sei morto. Queste sono cose che non ti riguardano. Non più almeno”


Lo spettro tornò a sorridere e Arthur sentì una lieve ondata di calore riscardagli le ossa. Era tutta un’illusione creata dalla propria mente, lo sapeva bene. Eppure il sorriso di Charles gli era mancato, come il suono del proprio nome pronunciato da quelle labbra.


Lo ami davvero a tal punto? 


Gli chiese. Rimbaud abbassò lo sguardo. Sapeva bene a cosa si stesse riferendo.


“E’ complicato”


A me invece sembra abbastanza semplice, cristallino oserei dire, basta leggere quegli appunti e chiunque potrebbe capire la natura del sentimento che vi lega


“Quanto desideri ancora torturarmi Charles?” domandò stancamente rileggendo le ultime frasi, passandosi al contempo una mano sul volto. Non aveva bisogno di farsi un esame di coscienza e non serviva che a farlo fosse proprio lo spirito del suo primo defunto amore.


Non sei mai stato discreto


Si limitò a fargli notare.

“Abbiamo sprecato tanto di quel tempo cercando di ignorare i nostri sentimenti. Ho finito col perderti solo dopo averti ritrovato” ammise la spia stringendosi di più nella propria coperta che teneva ancora sulle spalle. Cercava di evitare di incrociare lo sguardo dell’altro. Nonostante tutto il ricordo di ciò che erano stati faceva ancora male.


Stai commettendo di nuovo lo stesso errore. Dovresti dire a quella creatura quello che provi. Prima che sia tardi


“Non chiamarlo in quel modo, Paul è un essere umano” il fantasma storse il naso avvicinandosi a lui ma senza sfiorarlo. Finalmente si guardarono negli occhi. Anche quelle iridi erano blu come ricordava. Gli era mancato quello sguardo come il potere che aveva sempre esercitato su di lui.


Se lo accettasse sarebbe tutto più semplice


“Che vorresti dire?”


Che lui per primo non si considera in quel modo, non importa cosa tu faccia, la realtà dei fatti non cambia. E’ il tuo amato Paul che per primo non accetta la propria natura. Sa di non essere umano


Arthur sbuffò. Lo spettro aveva ragione. Il suo più grande rimpianto era quello di non riuscire a comprendere i pensieri più reconditi che agitavano l’animo del proprio partner. Avvertiva quella sofferenza, quel disperato bisogno di sentirsi accettato, parte del loro mondo. 


Paul aveva eretto una barriera che aveva provato in tutti i modi ad abbattere. Quanto avrebbe desiderato che il proprio compagno capisse la propria importanza. Per Rimbaud, Verlaine non era solo un’arma, era qualcosa di più. Non sapeva dare una definizione al sentimento che lo legava al biondo, chiamarlo amore come sosteneva Charles avrebbe messo entrambi in pericolo. Però era un qualcosa di altrettanto forte.


Verrà il giorno in cui sarai costretto a lasciarlo andare. Non potrai fargli da balia per sempre


Il fantasma aveva ragione ma in fondo quello era solo l’ennesimo prodotto della sua mente. Arthur aveva bisogno di sentire quelle parole direttamente dalle labbra di Charles Baudelaire per poterle accettare. Stava davvero andando fuori di testa.


Sta per mettersi a piovere


Lo informò la figura tornata nuovamente alla propria postazione accanto alla finestra. In quel momento era un dettaglio di poco conto.


“Domani festeggeremo il suo compleanno” esordì senza una particolare ragione.


Hai sempre amato celebrare queste ricorrenze.


Arthur tornò a sorridere, piegando leggermente gli angoli della bocca; “Non lo abbiamo mai fatto. So che tecnicamente non ha un compleanno ma è da un pò di tempo che desidero fare qualcosa per lui. Domani sarà l’anniversario del giorno in cui ha sconfitto il Fauno e ottenuto la propria libertà”


E sostieni ancora di non amarlo. Quando imparerai ad essere sincero con te stesso. Verso i tuoi sentimenti.


“Quando lo sono stato hai visto tu stesso cosa ho ottenuto. Tu sei morto e io vivrò il resto della mia vita con quel peso sulla coscienza”


Ciò che hai provato per me era lo stesso?


Arthur tornò a fissare le pagine bianche davanti a lui. Preferiva non rispondere a quella domanda. Non si era mai interrogato sulla natura dei propri sentimenti. Indubbiamente quello che provava per Paul era diverso da ciò che lo aveva legato a Charles. Erano individui diversi che aveva incontrato in periodi differenti della propria vita.


Charles Baudelaire era stato il suo più caro e vecchio amico. Erano cresciuti insieme in quel paesino sperduto tra le Ardenne. Gli aveva confidato i suoi sogni, le proprie speranze verso il futuro. Charlie era presente quando la sua Abilità si era manifestata per la prima volta. Ricordava il suo volto in lacrime quando i gendarmi lo avevano allontanato da casa. Il loro incontro avvenuto una decina di anni dopo a Parigi. In quell’occasione quel sentimento che li aveva sempre legati era mutato evolvendosi in qualcosa di più profondo, sfuggendo al controllo di entrambi. Charles aveva amato Paul Verlaine. Aveva amato un individuo che ormai non esisteva più. Arthur aveva seppellito il vecchio se stesso anni prima quando aveva abbracciato la sua nuova vita.


Poi aveva conosciuto Paul. Non sapeva definire il sentimento che era nato verso quella creatura. All’inizio gli aveva ricordato un bambino al quale avrebbe dovuto insegnare i misteri e i pericoli del mondo. Verlaine però non era innocente né ingenuo. Dentro di sé combatteva con una bestia che lui aveva saputo in qualche modo domare.


Fu in quel momento che venne colto da un’illuminazione. Aveva trovato il regalo ideale. Gli avrebbe donato una bombetta con la quale controllare il proprio potere. Così, se un giorno si fossero trovati divisi, Paul avrebbe domato i propri istinti. Era perfetto. 


Pensi che sappia cosa sia un compleanno?


Charles era tornato a tormentarlo.


“Non importa. Se dovesse servire glielo spiegherò. In fondo gli ho insegnato ogni cosa”


Tranne che amare


“Paul sa amare. Deve solo imparare a mostrarlo”


Provo pietà per quella creatura. Non vi è nessuno al mondo in grado di comprenderlo. Nessuno simile a lui


“Ti sbagli” sussurrò la spia chiudendo finalmente il proprio taccuino.


“La nostra prossima missione” spiegò. Charles si fece nuovamente più vicino.


Lo so benissimo ricordi? Io sono solo un frutto della tua mente. io sono te.


“Allora perchè ti diverti a tormentarmi?”


Perchè non riesci a prendere una decisione. Una parte di te teme il giorno in cui Paul arriverà a ribellarsi, a rompere le catene con le quali lo tieni ancorato a te. Sai che non potrai controllare quella creatura in eterno, come anche il fatto che nessun Governo potrà mai farlo.


“Voglio solo renderlo umano. Voglio che capisca l’importanza della propria esistenza. Dovrebbe essere grato di essere al mondo”


Vuoi riavere lo stesso legame che ti hanno rubato


“No. Paul non è te. Non lo sarà mai e va bene così. Non cambierei nulla di lui”


Tranne la sua testardaggine e orgoglio


“Di quelli mi reputo in parte responsabile”


Sei cambiato Paul


“Mi chiamo Arthur”


“Con chi stai parlando?” 


Rimbaud si voltò di scatto al suono di quella voce. Verlaine lo fissava curioso appoggiato allo stipite della porta.


“Stavo per coricarmi quando ti ho sentito parlare” spiegò incrociando le braccia quasi con disappunto. A modo suo il biondo era geloso del proprio compagno anche se cercava in tutti i modi di nasconderlo


“Stavo scrivendo” spiegò indicando il taccuino e la candela ormai spenta sulla propria scrivania;


“Presto ci sarà un temporale” Arthur annuì guardando il cielo ormai pieno di nubi;


“Se vuoi puoi restare qui questa notte” propose studiando ogni espressione comparsa sul viso del biondo;


“Non ho paura” rispose stizzito


“Lo so benissimo ma la tua stanza si trova al lato opposto di questo edificio e guarda, ha già iniziato a piovere. Non vorrei mai che ti prendessi un raffreddore”


“Non so nemmeno se posso ammalarmi. Io non sono umano” Rimbaud alzò gli occhi al cielo alzandosi dalla propria sedia solo per raggiungerlo, la coperta ancora avvolta sulle spalle come un mantello.


“Ancora con questo ritornello. Sei un’anima artificiale ma esteriormente sei umano”


“Io però conosco la verità, non posso fingere. Non chiedermi di farlo”


“Paul vorrei tanto aiutarti. Sai bene che conquisterei l’inferno per te”


“Non ti ho mai chiesto di farlo” Arthur non rispose. Come poteva rivelare i propri sentimenti mentre Verlaine ostinatamente continuava con l’erigere muri per tenerlo a distanza. 


“Questa notte dormirai qui e non si discute” non voleva suonare autoritario ma era arrabbiato. Il comportamento di Paul non facilitava le cose e in qualsiasi caso, non avrebbe lasciato cadere in quel modo quella conversazione.


“Se lo desideri, però ti avviso che sono stanco, quindi smettila di scrivere e vieni a letto”


In quel momento si accorsero entrambi che ve ne era solo uno al centro della stanza.


Tornarono a fissarsi. Fu Rimbaud a rompere il silenzio imbarazzante sceso tra loro. Si stavano comportando come dei bambini.


“Non è la prima volta che dormiamo insieme” gli fece notare. Verlaine annuì iniziando a sbottonarsi la camicia.


“Cosa scrivevi?” domandò tornando a fissare il moro con la solita curiosità.


Arthur fu tentato di offrirgli il taccuino invitandolo a leggere ma l’eco della voce di Charles ancora nelle proprie orecchie lo portò a desistere. Non era ancora arrivato il momento. Un giorno avrebbe aperto il proprio cuore ma non quella sera.


“Ho descritto il nostro primo incontro” fu tutto ciò che disse. Verlaine sembrò quasi deluso.


“Non hai nulla di più interessante da raccontare?”


“Tu sei un soggetto decisamente interessante”


“Mi stai dicendo che scrivi su di me? Sono diventato oggetto di una qualche ricerca?”


“Non intendevo questo Paul” andava sempre a finire in quel modo. Doveva fare attenzione a quali tasti toccare per non ferirlo o provocare questi scatti d’ira incontrollati.


“Non ho bisogno della tua pietà”


“Non è pietà”


“Allora perché stavi scrivendo su di me?”


“Perchè la mia vita gravita intorno alla tua. Perchè sei il mio partner su chi altro potrei mai scrivere?”


“Charles” quel nome aveva sempre pesato come un macigno sopra di loro. Era davvero il fantasma di un passato che Rimbaud non riusciva a scollare dal proprio presente e tornava ad affliggerlo con forza.


Arthur si era interrogato spesso su quanto fosse giusto rivelare a Paul ma qualcosa lo aveva sempre trattenuto dal raccontare al biondo tutta la verità. Soprattutto riguardo a Baudelaire e quel capitolo della propria vita.


“Non devi più pronunciare quel nome” sapeva che così facendo avrebbe solo finito con l’alimentare quella fiamma che già stava ardendo con forza nell’animo del proprio compagno ma non aveva potuto evitarlo. Charles apparteneva ad un passato che mai avrebbe permesso di riaffiorare. Paul non doveva conoscere quei dettagli della sua vita. Non poteva. Era una ferita aperta che ogni tanto tornava a sanguinare.


“Ho letto dei documenti su un certo Baudelaire”


“Non sono affari tuoi. Charles Baudelaire è morto quattro anni fa” detto questo si mise sotto le coperte dandogli la schiena.


Verlaine rimase seduto sul bordo del letto non sapendo come comportarsi. Era arrabbiato ma anche confuso.


“Un giorno ti permetterò di leggere il mio taccuino” la voce di Arthur lo riportò alla realtà.


“Anzi potrei anche decidermi a regalartelo” il biondo si limitò a fissarlo completamente senza parole.


“L’hai detto tu stesso, parla di te quindi è giusto che prima o poi tu lo legga. Vorrei solo finirlo prima”


E nel frattempo comprendere i tuoi sentimenti verso di lui


La voce di Charles era tornata a tormentare la sua mente ma Arthur decise di ignorarla. Si strinse maggiormente la coperta addosso finendo in questo modo con l’urtare il fianco del proprio partner che nel frattempo si era steso all’altro lato del letto. Aveva di nuovo freddo ma quel semplice tocco bastò a scaldarlo.


“Hai i piedi freddi” gli fece notare il biondo essere artificiale.


“Sai che ho sempre freddo”


“Sei nascosto sotto tre strati di coperte e siamo in primavera” gli fece notare


“Fuori sta piovendo”


“Chi è ora che si comporta come un moccioso?” e detto questo si voltò verso di lui per abbracciarlo.


“Va meglio?” gli chiese vedendo come il proprio partner si era fatto improvvisamente rigido tra le sue braccia.


“Si grazie”


“Non capisco come tu possa sempre sentire questo freddo”


“E’ da quando sono diventato una spia che lo avverto. Da quando ho iniziato questa vita” ammise lasciandosi cullare da quelle braccia portatrici di distruzione ma che in quel momento gli stavano donando solo pace e calore. Come potevano definire una simile creatura un mostro? Non lo avrebbe mai compreso.


“Hai mai voluto fare qualcosa di diverso?” Tornò a domandargli Paul tra uno sbadiglio e l’altro.


“Non mi è stato concesso di scegliere come a te non è stata data la possibilità di essere umano. Qualcuno ha deciso per noi e siamo il risultato di questo”


“Tradiresti mai il tuo Paese?”


“Già il solo fatto di porgermi una domanda simile può essere considerato come un atto di tradimento”


“Tu però non mi hai risposto”


“Non ho mai considerato una simile opzione. Non ho nulla al di fuori del mio lavoro. Non mi resta nulla. Sono nato per essere questo. Una spia. Sono bravo, ho un’Abilità potente”


“Secondo questo tuo ragionamento io esisto solo per uccidere”


“Touchè. L’allievo sta superando il maestro”


“Ascolto ogni tuo insegnamento”


“E sei un ottimo allievo Paul. Ah quasi dimenticavo. Ha da fare domani?” il biondo ci pensò per qualche istante colto alla sprovvista da quella domanda.


“Resta al tuo appartamento. Devo alzarmi presto per sbrigare delle cose in città ma poi verrò a prenderti” 


“Perchè suona tutto molto sospetto? Mi stai forse nascondendo qualcosa?” Arthur scoppiò a ridere.


“Sono una spia. E’ ovvio che io nasconda qualcosa” 


L’abbraccio si fece più stretto. Tanto che il moro riuscì a sentire il fiato del compagno contro il proprio collo. Un tuono ruppe il silenzio e Arthur si trovò ancora di più immerso in quel calore. Stava impazzendo per tutte quelle emozioni che stavano nascendo nel proprio animo. Doveva trattenersi in qualche modo.


“Scusa” si affrettò a dire Verlaine temendo di aver fatto qualcosa di sbagliato.


“Non preoccuparti. Sono io che dovrei scusarmi. Se vuoi puoi anche smetterla di abbracciarmi” anche se era l’ultima cosa che avrebbe voluto.


“Ti sto solo scaldando. Non preoccuparti” e non si mosse di un millimetro.


Arthur cercò di controllare le proprie emozioni quando si accorse che il respiro del biondo si era fatto improvvisamente più regolare. Si era addormentato di colpo, come un bambino.


Era da tanto che non lo osservava dormire. Era davvero un bellissimo diavolo tentatore.


Si sarebbe alzato all’alba, avrebbe presenziato all’ennesima riunione dove avrebbe ricevuto tutti i dettagli sulla loro prossima missione e poi avrebbe festeggiato il compleanno di Paul. Sarebbe stata una giornata indimenticabile.


Una nuova stagione sarebbe iniziata per tutti loro. L’immagine di Charles sarebbe rimasta per sempre un ricordo del passato, Paul rappresentava il suo presente e futuro. Avrebbe sacrificato ogni cosa per lui, per la sua felicità.


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Cow-t 12 – Sesta settimana – M3

Prompt: 008. “Credo proprio che diventeremo amici”

Fandom: The Case Study of Vanitas

Rating: SAFE 

Numero Parole: 800

Note: Pensieri di Roland





Per lungo tempo, Roland aveva vissuto nella convinzione che tutti i vampiri fossero uguali. Esseri privi di sentimenti, lontani dalla luce e della grazia di Dio. Mostri spaventosi da combattere ed eliminare, come quelli di cui si narrava nelle favole per bambini. Non avrebbe mai immaginato che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe amabilmente conversato con uno di loro, seduto in un Cafè di Parigi. Quando un vampiro incontrava la sua strada, Roland sapeva cosa doveva fare.


Lui era uno chasseur, uno strumento della Chiesa e come tale doveva agire. Era una spada che si ergeva contro quegli eretici che con la propria esistenza andavano contro ad ogni principio o legge di Dio. 


Questo era ciò che gli era stato insegnato sin da bambino. Il male andava scacciato, e i vampiri ne erano l’incarnazione. Aveva visto fin troppi morti, troppe vite distrutte da quelle creature. Il viso terrorizzato di Astolfo tornava spesso a tormentare i suoi sogni. 


Roland aveva capito sin dal primo istante come Noè Archiviste non fosse affatto un vampiro comune. Quando si incrociarono per la prima volta, nelle catacombe della capitale francese, il paladino pensò a quanto quel ragazzo fosse un curioso esemplare di quella specie. Tanto per cominciare, non lo aveva attaccato subito, si era comportato cordialmente come l’umano a cui si accompagnava. Di certo quel povero ragazzo doveva essere stato plagiato e piegato al volere di quell’immonda creatura. Noè gli appariva fin troppo normale ed era stato quello a stimolare la curiosità del biondo.


“Vi siete persi? Allora siamo in tre” Roland aveva sorriso, preparandosi al momento in cui quella bestia avrebbe mostrato le proprie zanne rivelandosi per quello che era. Non aspettava altro, ma aveva bisogno di averne la certezza prima di attaccare. 


Così pensò di dividere il vampiro dall’umano per poi stordirlo con una granata accecante. Quando incontrò quelle iridi di fuoco capì di aver fatto centro. Non si era sbagliato quel Gilbert andava eliminato. Aveva violato il territorio degli chasseur, di sicuro per farlo aveva ucciso qualche suo compagno.


Non avrebbe avuto nessuna pietà, non vi era possibilità di salvezza per quelle creature.


“Vanitas”


All'improvviso, Noè aveva urlato quel nome attirando nuovamente su di sé l'attenzione del paladino. Roland aveva sgranato gli occhi ringraziando Dio per avergli concesso quell'incontro. Non si aspettava di incontrare il possessore di quel Libro maledetto così presto. Avrebbe potuto salvare Vanitas dall’influenza dei vampiri, ricondurre una pecorella smarrita a casa, riportarlo sulla retta via. Era questo il suo destino, la sua missione. Ora lo sapeva.


Poverino. Signore abbi pietà di lui. Di sicuro non sa quello che fa.


Erano questi gli unici pensieri che affollavano la mente di Roland mentre osservava da dietro le sbarre l’astioso ragazzo dagli occhi blu. Lo avrebbe salvato anche contro il suo volere. Per questo si decise ad estrarre la propria arma e combattere contro quel mostro ancora accovacciato a terra poco distante da loro.


Con sua somma sorpresa, nonostante la cecità Noè riusciva a tenergli testa, arrivando a schivare uno dopo l’altro tutti i suoi fendenti. 


Anche quello era un comportamento al quale non aveva mai assistito. Un vampiro che non attaccava ma si limitava a fuggire. Una parte di Roland era quasi divertita dalla situazione ma anche preoccupata per la possibile reazione di Olivier nel caso fosse venuto a conoscenza di tutta quella storia. Stava facendo come sempre di testa sua disobbedendo ad un numero imprecisato di ordini solo per soddisfare la propria curiosità. Pensò che il compagno lo avrebbe come sempre compreso e che non doveva pensarci troppo. Ora aveva ben altre priorità.


Noè e Vanitas riuscirono a scappare ma il paladino fu comunque in grado di ritrovarli. In fondo nessuno poteva conoscere quei labirinti meglio di uno chausseur, anche se quei due non la smettevano di sorprenderlo. 


Noè gli era andato incontro, utilizzando il povero Vanitas come ostaggio solo per farlo uscire allo scoperto. In questo modo quel vampiro bislacco era riuscito ad atterrarlo. Fu in quel momento che ogni convinzione del biondo crollò, come un castello di carte mosso dal vento.


“Piacere di conoscerti Roland. Mi chiamo Noè…” 


A quella strana conversazione si era poi aggiunto anche Vanitas che aveva aggiornato il resto dei presenti su come il Dottor Monreau fosse ancora vivo e sul motivo per il quale avessero deciso di investigare nel loro territorio.


“Sei davvero un vampiro?” aveva domandato il paladino con rinnovato interesse dopo essersi ripreso da quel colpo.


“Certo che lo è” era stata la stizzita risposta di Vanitas.


Roland sorrise illuminando l’ambiente intorno a sè. Era come se brillasse di luce propria


“Credo proprio che diventeremo amici”  Noè gli strinse la mano entusiasta dell’idea mentre alle loro spalle gli Chasseur e Vanitas li fissavano con occhi sconcertati e orripilati


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Cow-t 12 – Sesta settimana – M3

 

Prompt: 014. “Ventidue, e non uno di più/Vingt-deux, et pas un de plus." 

 

Fandom: Bungou Stray dogs

Rating: SAFE 

Numero Parole: 674

 

Note: SPOILER Stormbringer. Scusate è in francese




 

Même si une personne le souhaite, elle ne peut pas changer son passé. Revenir en arrière. Vous ne pouvez aller de l’avant en tirant parti de votre propre expérience afin de ne pas refaire les mêmes erreurs.   Pendant des années, Paul Verlaine avait vécu dans la conviction d’avoir tué son partenaire. Il l’avait trahi, lui avait tiré dans le dos. Au fond, il n’était pas si différent de l’avoir tué. Le passé ne pouvait pas avoir changé. Il avait fait un choix et vivait avec le poids qu’elle avait entraîné. Pourtant, quand il avait entendu d’une source que Arthur Rimbaud n’était pas seulement vivant mais se trouvait au Japon son coeur avait perdu un battement.


 

Une partie de lui aurait voulu partir. Le revoir, lui demander pardon, mais son côté plus rationnel l’avait invité à rester en Europe. Puis il avait reçu de nouvelles informations. Son ancien partenaire était vivant mais il semblait avoir complètement perdu la mémoire. Il se faisait appeler Randou et travaillait pour Port Mafia, c’était l’un des cinq cadres. Verlaine ne pouvait pas y croire. C’était censé être une farce ou un plan pour se moquer de lui et de la nation qui les avait abandonnés à leur destin.


 

Rimbaud était encore vivant mais il n’était plus l’homme dont il se souvenait. La réalité dépassait tous ses fantasmes ou plus voulut prévision. Le roi des assassins se battait pour le faire. Rester sur le Vieux Continent ou retourner au Japon ? 


 

Quand il a appris ces nouvelles, il était à Londres où il prenait plaisir à tenir la Tour de l’horloge en échec. C’était un jeu trop amusant pour finir sur le plus beau. Arthur aurait attendu.


 

On n’aurait pas pu imaginer ce qui allait se passer de là quelques mois plus tard.


Quand son informateur retourna dans la capitale anglaise, il ne donnait pas de bonnes nouvelles;

 

"Comment ça mort ?" Il ne réalisa pas qu’il avait élevé la voix jusqu’à ce qu’il croisât les regards inquiets de quelques passants qui marchaient dans le parc où il avait l’habitude de se rencontrer. 


 

Apparemment, Arthur Rimbaud avait été exécuté comme traître par Port Mafia qui l’avait accueilli des années auparavant. Mais ce n’était que la partie émergée de l’iceberg.


 

"A-t-il été vaincu par deux jeunes garçons !" lut sur la dépêche qui lui avait été livrée. L’homme devant lui fit un signe de consentement avec le chef.


 

"Osamu Dazai et Nakahara Chuuya" quand il lut ce deuxième nom, tout lui fut soudain clair.


 

"Monsieur, où allez-vous ?" a tenté l’informateur pris à contresens.


 

"Je prépare mes bagages. Réservez un billet pour le Japon"


 

"Mon Seigneur, en ce qui concerne mon salaire", Verlaine s’arrêta au milieu de la route.


 

"C’est ça.  Vingt-deux,et pas un de plus" en retirant les billets de sa poche.


 

Il partirait pour l’Asie. Il avait un nouvel objectif en tête. Non seulement Arthur avait survécu à leur combat au laboratoire, mais aussi le garçon dans le corps duquel résidait Arahabaki. Nahakara Chuuya. Il aurait reconnu partout ce nom, celui du seul être au monde capable de comprendre sa douleur, sa solitude.  


 

Son petit frère était tout ce qui lui restait. Son existence tout entière n’avait pas de but. Il était vivant mais c’était un être artificiel. Il ne possédait pas d’âme. Bien qu’apparemment il puisse être facilement confondu avec un être humain, Verlaine savait qu’il ne l’était pas. 


C’était une bête, un monstre qui ne méritait pas d’être au monde. Et pourtant, le voici marchant sur Terre. Le Port Mafia paierait pour tout, ils lui avaient déjà pris Arthur ne lui permettrait pas d’avoir aussi Chuuya. Il le sauverait.



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