Mar. 28th, 2021

europa91: (Default)
Cow-t 11 – Settima settimana – M8
Prompt: la storia deve iniziare dal suo finale e poi ripercorrere gli eventi fino al finale stesso
Fandom: Bungou Stray Dogs
Rating: NSFW (per sicurezza visto che si menziona il suicidio)
Numero Parole: 3040
Note: è una specie di Beast AU credo. Cioè ho provato a scrivere qualcosa su Beast ma non sono sicura di cosa sia canon e cosa frutto di miei headcanon. È uscita così sorry XD
 
 
 
 
 
 
 
Finalmente stava per ottenere ciò che aveva sempre bramato. 
 
Dazai Osamu stava per morire. In quel momento ne aveva l’assoluta quanto matematica certezza. Ed era giusto così. Era così che le cose dovevano andare. Sarebbe stato il corretto epilogo di tutta quella storia, il capitolo finale della sua vita. Era sereno Dazai, mentre a braccia spalancate cercava di godersi appieno la sensazione di cadere nel vuoto. L’ormai ex mafioso aveva solo un unico rimpianto, mentre proseguiva verso la fine; anche quella volta, non era riuscito a dire addio ad Odasaku. Non avrebbe mai avuto il piacere di leggere il libro che l’amico stava scrivendo. Si corresse da solo. In quella realtà lui e Oda Sakunosuke erano nemici. Il detective lo odiava e non avrebbe mai saputo il sacrificio che Dazai stava compiendo. Il fato aveva uno strano senso dell’ironia.
 
Aveva fatto ogni cosa solo per lui, per salvarlo da un destino che non meritava.
 
Forse, in minima parte Dazai aveva scelto quel folle gesto egoisticamente anche per se stesso. Morendo avrebbe cercato di espiare le sue colpe. Non era riuscito a diventare un essere umano migliore, aveva fallito anche nell’ultima promessa che si era scambiato con Odasaku. Era un completo disastro, non aveva fatto nulla di buono nel corso della sua vita. Con la sua morte, sperava di redimersi almeno in parte.
 
Chiuse gli occhi, dopo aver gettato un’ultima occhiata al sole che stava tramontando oltre l’orizzonte. Non sarebbe vissuto abbastanza per veder sorgere la prossima alba. Se ne sarebbe andato con l’oscurità che aveva sempre caratterizzato la sua esistenza. Era giusto così. Lo aveva accettato nel momento stesso in cui aveva preso della decisione. Era stata una scelta ponderata la sua, anche se a prima vista poteva sembrare il contrario. 
 
Le cose sarebbero dovute andare così sin dall’inizio. Aveva giocato una partita pericolosa ed aveva perso. Ora ne stava semplicemente pagando il prezzo. In un mondo dove Oda Sakunosuke sopravviveva, Osamu Dazai doveva morire. Sacrificare la loro amicizia non era bastato. 
 
Piegò le labbra in un ultimo sorriso, beandosi della sensazione di cadere nel vuoto. 
 
***
 
Dodici ore prima – Quartier Generale della Port Mafia
 
“In questo momento il Boss non vuole essere disturbato”
 
“Ma Nakahara-san…” Chuuya iniziò a spazientirsi, mentre con un pugno diede un colpo piuttosto forte alla parete alle sue spalle;
 
“Ho detto, che non vuole ricevere nessuno, cosa c’è di sbagliato in quel tuo cervello sottosviluppato eh?” l’uomo terrorizzato tornò sui suoi passi mentre il dirigente entrò in quelle che erano le stanze private del Boss.
 
Osamu Dazai, leader della Port Mafia, stava scompostamente seduto dietro la sua scrivania a sfogliare le pagine di un libro. Sembrava quasi annoiato. Il rosso non poté evitare di sbuffare per l’ennesima volta nel corso di quella giornata. Odiava dover fare da baby sitter al suo ex partner, che disgraziatamente, era finito con il diventare suo diretto superiore e odiava ancora di più dover mentire per coprire la sua totale inettitudine e pigrizia. Dazai si era rivelato essere un perfetto successore di Mori, peccato che il suo acume e la sua intelligenza si riducessero solo a questioni strettamente lavorative. Per tutto il resto quel idiota bendato era rimasto lo stesso dei tempi in cui erano la temibile Soukoku. 
 
Solo Chuuya sembrava essere in grado di vedere il vero Dazai. Il rosso non aveva mai avuto problemi ad intuire cosa passasse nella mente del ex partner, anche se ultimamente Dazai aveva qualcosa di diverso dal solito. All’inizio, non aveva compreso bene, ma poi il Boss, aveva iniziato ad interessarsi ad un certo detective di una certa Agenzia. Fare due più due, non si era rivelato essere troppo complicato per il dirigente.
 
“Non dirmelo, anche oggi hai intenzione di recarti a quel pub vero?” 
 
Solo in quel momento, Dazai diede segno di aver notato la sua presenza, alzando di poco lo sguardo annoiato verso di lui. Già questo sarebbe stato un ottimo motivo per prenderlo a pugni. Chuuya faticò a mantenere saldo il proprio auto controllo. Dopo quella che al rosso era parsa un’eternità, il giovane leader della Port Mafia iniziò a parlare;
 
“Anche se fosse, non vedo come la cosa ti possa interessare Chibi”
 
Dovette davvero impegnarsi per non mettersi ad urlare. Litigare con Dazai un tempo era stato uno dei suoi passatempi preferiti, ma da quando aveva preso le redini dell’Organizzazione, il divario tra loro era inevitabilmente aumentato. C’era una linea sottile che il rosso non doveva valicare e lo sapevano bene entrambi. Le urla e le provocazioni erano accettate, ma entro certi limiti. Per questo decise di non rispondere. Si diresse invece verso le ampie finestre, aprendone una per lasciar filtrare i primi deboli raggi di sole.
 
“Questa stanza sta iniziando a puzzare. Penso che oggi dovreste prendervi il resto della giornata libera Boss” e calcò volutamente l’ultima parola. Continuò a fissare il panorama davanti a sé. 
 
Dazai si alzò lentamente dalla sua scrivania. 
 
Non avrebbe ringraziato apertamente Chuuya, anche se aveva capito cosa l’altro gli stesse suggerendo velatamente di fare. Il suo ex partner gli stava dicendo di finirla una buona volta con la sua ossessione per Odasaku. Dazai lo sapeva, lo aveva capito. Fino a quel momento aveva resistito alla voglia di incontrarlo. Aveva monitorato i suoi spostamenti, indagato sul suo passato, sul lavoro che svolgeva per conto dell’Agenzia, ma si era sempre trattenuto dall’incontrarlo. Una parte di lui, sapeva che non sarebbe stata una scelta saggia. In quella realtà che aveva creato grazie al Libro, lui era il Boss della Port Mafia; mentre Odasaku, sopravvissuto allo scontro contro la Mimic, era entrato a far parte dell’Agenzia dei Detective Armati. Il prezzo da pagare era stata la loro amicizia. In quel mondo Oda Sakunosuke non aveva mai incontrato Osamu Dazai, né aveva mai visto di persona il leader della Mafia. Non era mai entrato nell’Organizzazione che agiva nelle tenebre di Yokohama.
 
Erano nemici. Era stato questo il conto che l’utilizzo del Libro gli aveva richiesto. Ora però qualcosa dentro di lui si era mosso. Atsushi durante una delle sue ultime missioni gli aveva riferito di come fosse finito con l’imbattersi in Akutagawa, anche lui al soldo dell’Agenzia. Non ricordava il perché, ma ad un certo punto la giovane tigre aveva menzionato Oda, come senpai del ragazzo. Il Boss era tornato con la mente ai ricordi delle serate trascorse insieme all’amico e ad Ango. Giorni ormai lontani, di cui conservava solo memorie dai contorni sbiaditi e sfuocati. Dazai non ricordava nemmeno quante realtà avesse visitato grazie al Libro prima di trovare quell’unica linea temporale dove Odasaku potesse esistere.
 
Senza dire una parola né degnare Chuuya di uno sguardo si diresse verso l’uscita, dopo aver recuperato il suo inseparabile cappotto ed esserselo messo sulle spalle.
 
 
Dieci ore prima – Nei pressi del molo di Yokohama
 
Osservare l’oceano aveva sempre in qualche modo rilassato Dazai. Non sapeva nemmeno lui il perché, ma la vista delle onde che si infrangevano con forza sulla costa gli ricordavano Odasaku. Oda era esattamente come il mare, all’apparenza calmo, tranquillo ma bastava un niente per tramutare quella pacatezza in furia. Lui aveva avuto modo di vedere entrambi. Aveva conosciuto la versione tranquilla dell’amico, il tuttofare della Port Mafia che aveva deciso di non uccidere, ma anche la sua versione più letale, quando senza alcun rimorso, aveva spazzato via l’intera Mimic prima di perdere lui stesso tragicamente la vita, in uno scontro all’ultimo sangue con il loro leader. 
 
Dazai ripensò alla sensazione che aveva provato nello stringere tra le braccia il corpo morente di Oda. Le sue mani e le sue bende tingersi del rosso del suo sangue, mentre il mondo intorno a lui perdeva progressivamente di ogni colore o senso.
 
Era accaduto tantissimo tempo prima, eppure, quel ricordo era ancora così nitido nella sua mente, che non avrebbe mai potuto scordarlo. 
 
Tornò a fissare il mare. Alla fine aveva preso la sua decisione, ci aveva riflettuto a lungo, era la sola strada possibile. Prima però voleva parlare con Odasaku un’ultima volta, per questo si avviò verso la città. 
 
Aveva iniziato lentamente a piovere.
 
Nove ore prima – Bar Lupin
 
Era rimasto per un po' seduto su quello che un tempo, in un altro mondo, era stato il suo sgabello, appoggiato scompostamente al bancone del bar. Come sempre a quell’ora il locale era poco affollato. 
 
Il barista ormai aveva preso in simpatia quel bizzarro ragazzo con la faccia ricoperta per metà da bende, che ogni tanto, passava qualche ora lì a sorseggiare un drink in solitaria. L’uomo aveva come l’impressione che il giovane stesse aspettando qualcuno, ma non si era mai azzardato a domandarglielo. La caratteristica di un buon bar tender era sapere quando fosse meglio farsi gli affari propri.
 
All’improvviso un uomo alto, dai capelli rossi entrò nel suo locale, gli bastò una rapida occhiata in direzione di Dazai per comprendere immediatamente ogni cosa. Sorrise tornando a pulire un bicchiere con uno strofinaccio.
 
Il Boss della Port Mafia, che in quel momento si trovava sotto copertura, si illuminò di colpo. Non serviva un genio per capire chi avesse aspettato fino in quel momento.
 
Senza dire una parola Odasaku prese posto nello sgabello accanto a quello del giovane. Non dimostrò particolare interesse verso quel ragazzo, si limitò ad ordinare il solito drink. Fu Dazai il primo a rivolgergli la parola;
 
“Giornata dura?” l’uomo finalmente sembrò accorgersi della sua presenza. Lo fissò per qualche secondo sorpreso; per poi rispondere quasi divertito,
 
“Si abbastanza. A volte tentare di conciliare due professioni non è affatto semplice” ammise. Dazai si fece solo che più attento;
 
“Due professioni?” chiese con interesse;
 
“Si, sono uno scrittore e un detective”
 
“Oh”
 
“Ah e sono anche un padre” aggiunse poco dopo come se si fosse improvvisamente ricordato anche di quel particolare. Entrambi risero. Così presero a conversare del più e del meno.
 
Ogni parola uscita dalle labbra di Oda era un colpo al cuore per il giovane Boss della Port Mafia. 
 
Sembrava come se il tempo non fosse affatto trascorso. Per un attimo, la mente di Dazai lo riportò nel suo mondo d’origine, in quei giorni spensierati, mentre beveva in compagnia del suo Odasaku. Il suo amico, deceduto prima di veder realizzato il suo sogno. Faceva male, incredibilmente male vedere come un singolo particolare avrebbe potuto cambiare le vite di entrambi. 
 
Se non lo avesse mai incontrato, Oda avrebbe potuto vivere una vita migliore. La vita che un uomo del suo calibro meritava. Quella realtà creata dal libro si stava rivelando essere la migliore per tutti; Akutagawa aveva trovato un senpai che tenesse a lui e sapesse apprezzare i suoi sforzi, Atsushi aveva una famiglia e si occupava ancora del benessere della piccola Kyouka. Lui stesso aveva preso il posto di Mori, Odasaku era diventato uno scrittore di successo. 
 
Vincevano tutti. Solo il loro legame ci perdeva, anzi si perdeva.
 
Era convinto che avrebbe potuto rinunciare a Odasaku, di farlo per il suo bene. Ma in quel preciso momento, con quell’uomo a qualche metro da lui non ne era più tanto sicuro. Con Odasaku era sempre stato così, quando era coinvolto la mente di Dazai smetteva di ragionare lucidamente. Non ne aveva mai compreso a fondo la ragione ma Oda sapeva che interruttore toccare per spegnergli completamente il cervello, lo annichiliva e rendeva innocuo, impresa mai eguagliata da nessun altro.
 
Non seppe come, ma ad un certo punto arrivò a tradirsi e Odasaku scoprì la sua vera identità. 
 
Lo scrittore fece per andarsene, mostrando apertamente tutto il disprezzo e rancore che provava nei suoi confronti. Aveva bevuto un drink e passato l’ultima ora a chiacchierare amabilmente con la peggiore mente criminale presente in città. Oda si vergognò di sé stesso mentre inceneriva con lo sguardo, uno sgomento Dazai, che dal suo sgabello non si era mosso di un millimetro.
 
“Odasaku” fu tutto ciò che riuscì a dire in quel momento il giovane Boss. Era troppo sconvolto per fare altro. Non poteva credere di essersi bruciato così quell’opportunità. Non ce ne sarebbero state altre, lo sapeva bene.
 
“Non chiamarmi Odasaku” 
 
Fu come se avesse ricevuto il colpo di grazia. 
 
Il cuore di Dazai si infranse in mille pezzi. Faceva male, troppo male udire quelle parole pronunciate dalla persona per lui, più importante di tutte. Aveva utilizzato il potere del Libro solo per Oda, per riportarlo in vita. Credeva di essere preparato a tutto il giovane Boss, ma subire quel rifiuto così apertamente lo aveva spezzato. Una parte di lui sapeva che in fondo era giusto così. Odasaku aveva tutte le ragioni per odiarlo. Come leader della Port Mafia Dazai poteva vantare dietro di sé una lunga scia di peccati, una lista tracciata con il sangue delle sue vittime. La sua fama lo precedeva. Non poteva incolpare Oda. Sapeva di essersi meritato tutto il suo disprezzo. 
 
Quella frase però, aveva lasciato dentro di lui una sensazione di vuoto incolmabile.
 
Pagò il suo conto e uscì dal locale senza dire una parola.
 
Il barista da dietro al bancone aveva osservato tutta la scena in silenzio. Dopo aver lanciato un’ultima occhiata in direzione del ragazzo scosse mestamente il capo. Aveva come l’impressione che non lo avrebbe più rivisto nel suo locale.
 
Due ore prima – da qualche parte nel centro città
 
Dazai aveva vagato per il resto del pomeriggio senza meta, perso nei suoi ricordi e ragionamenti. Nella sua mente, continuavano a rimbombare, con la potenza di un tuono, quelle ultime parole che Odasaku gli aveva rivolto. Se chiudeva gli occhi rivedeva anche lo sguardo carico di disprezzo  dell’amico, mentre gli voltava le spalle ed usciva da quel locale. Non erano amici, non in quella realtà. 
 
La mente del giovane Boss era nel caos. Riviveva come se si fosse trattato di un film le immagini dei vari mondi in cui aveva cercato inutilmente di salvare la vita a quell’uomo che per lui un tempo, era stato semplicemente tutto. Oda Sakunosuke era stato non solo un amico, ma un fratello, un amante, non riusciva e non poteva definire il legame che avevano condiviso. 
 
Ormai sapeva cosa doveva fare, l’aveva sempre saputo.
 
Un ora prima – uno degli edifici della sede principale della Port Mafia
 
Nessuno aveva fatto domande. Il giovane Boss era entrato in ascensore e aveva chiesto di essere lasciato solo per il resto del pomeriggio. Aveva dato ordine di non essere disturbato e la sua parola era legge.
 
Pigiò distrattamente l’ultimo tasto, che lo avrebbe condotto sul tetto del palazzo.
 
Era passato molto tempo dall’ultima volta che si era recato in quel luogo, eppure aveva ancora il potere di restare senza parole alla vista di Yokohama. La città sotto di lui era meravigliosa. Il sole stava tramontando e le luci artificiali iniziavano ad accendersi una dopo l’altra. Anche la caratteristica ruota panoramica era illuminata.
 
Si beò per qualche istante di quell’immagine. Malgrado tutto, aveva amato profondamente quella città. Era fatta di luci e ombre, esattamente come lui, era una creatura misteriosa tanto bella quanto pericolosa.
 
Si avvicinò al parapetto iniziando ad osservare il vuoto sotto di lui. Sarebbe stato un volo di parecchi metri, sperò solo di perdere conoscenza prima dell’impatto. Sorrise tra sé. Presto lo avrebbe scoperto.
In quel momento però, venne raggiunto da due figure familiari.
 
La sorpresa nel rivedere Atsushi e Akutagawa durò solo per un breve istante.
 
“Avevo detto che non volevo essere disturbato” ammise più a sé stesso che per gli altri. I due ragazzi si scambiarono una rapida occhiata. Il primo a parlare fu Atsushi;
 
“Boss, che sta succedendo?” la sua voce aveva assunto una sfumatura quasi allarmata. Dazai sorrise teneramente, pensando come in quel frangente il ragazzo tigre fosse identico all’Atsushi originale. L’orfano che grazie a lui era stato accolto in Agenzia e non il temuto White Reaper, uno degli uomini più letali della Port Mafia. Akutagawa invece non aveva ancora aperto bocca ma non staccava lo sguardo da lui.
 
“Voglio suicidarmi Atsushi-kun, non è forse ovvio?” 
 
Aveva usato lo stesso tono di sempre, eppure il kohai aveva notato una sfumatura diversa nel tono di voce del Boss. Qualcosa gli suggeriva che il suo leader e senpai, stesse facendo pericolosamente sul serio.
 
“Boss, Dazai-san la prego, si allontani da lì”
 
L’uomo si limitò a sorridere ad entrambi;
 
“Questo è il momento che ho aspettato per tutta la vita. Sono contento, davvero contento…” sembrava non si stesse riferendo a loro, c’era qualcosa di diverso nello sguardo di Dazai, era come se non si trovasse realmente lì. Atsushi provò a fare un passo in avanti ma venne fermato dal braccio teso di Akutagawa;
 
“Non fare sciocchezze” lo ammonì. Dazai riprese con il suo monologo;
 
“Ho un solo rimpianto sai? Non potrò leggere il tuo libro..” detto questo fece un passo in avanti, sparendo dalla loro vista.
 
Presente
 
Era giusto così. Aveva capito che Odasaku non sarebbe potuto vivere se lui fosse rimasto in quel mondo. Che decisione prendere allora, se non quella di togliersi la vita?
 
Dazai aveva scoperto come quella fosse l’unica linea temporale che garantiva la sopravvivenza dell’amico. Avrebbe fatto ogni cosa per proteggerlo. In fondo lui aveva sempre inseguito la morte, l’aveva bramata così a lungo. Morire per salvare qualcuno d’importante non era male, era un buon modo per andarsene in fondo.
 
Nei suoi ultimi istanti la sua mente era tutta concentrata su Odasaku, sul tempo trascorso insieme, in sua compagnia. Prima di compiere quel gesto, il giovane Boss aveva estratto dalla tasca del cappotto una fotografia ingiallita e sbiadita dal tempo. Era stata sempre con lui, sin da quando, nel suo mondo d’origine, si era impossessato del Libro e aveva deciso di utilizzarlo per i suoi egoistici desideri. Ritraeva un Oda Sakunosuke, seduto al Bar Lupin, era stata scattata durante una delle loro serate, quando avevano provato a catturare quel qualcosa di invisibile che esisteva tra loro. 
 
In quel momento era stretta saldamente tra le sue dita, mentre Dazai chiudeva lentamente gli occhi e si preparava ad incontrare finalmente la nera signora.
 
Il sole era tramontato e la notte era calata sulla città di Yokohama.
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Cow-t 11 – Settima settimana – M7
Prompt: 006. He wasn’t an ex-boyfriend. But he was an ex-something. An ex-maybe. An ex-almost. 
Fandom: Attack on Titan
Rating: SAFE (sempre Angst)
Numero Parole: 2077
Note: ennesima Jean x Eren, non so il perché ma questo prompt mi grida loro. Era da un po' che non scrivevo su Attack on Titan e mi sono lasciata trasportare dall’ispirazione del momento. Possibili spoiler se non si è in pari con il manga!! Perché mi piace scavare nell’introspezione di Jean, personaggio che ho rivalutato tantissimo.
 
 
 
 
 
 
 
Non c’era mai stato bisogno di dare una definizione su cosa fossero stati lui ed Eren.
 
Ci aveva pensato la realtà a stravolgere quello che era sempre stato il loro piccolo mondo, il loro rifugio sicuro, la loro quotidianità.
 
Jean aveva avuto la fortuna, o la sfortuna, dipendeva dal punto di vista in cui la si voleva guardare, di incrociare lo sguardo di Eren appena messo piede al campo di reclutamento. Era stato immediatamente risucchiato da quegli occhi dal colore impossibile. Anche in quel momento, a distanza di anni, non riusciva a capire con esattezza di che sfumatura fossero gli occhi del giovane Jaeger. A prima vista sembravano verdi, ma appena la luce del sole si infrangeva contro quelle iridi creava dei giochi di colore che gli ricordavano le onde del mare. C’era anche del blu in quello sguardo. Lo stesso colore di quella vasta distesa d’acqua che avevano raggiunto al prezzo di innumerevoli vite. A pensarci ora, era come se tutta la sua vita fosse racchiusa nello sguardo di Eren. 
 
Quel moccioso irruento era finito con il diventare l’ago della bilancia, il giocattolaio che aveva il potere di distruggere o salvare il loro mondo.
 
Se qualcuno anni prima fosse venuto a raccontarglielo, Jean avrebbe riso di gusto, e forse sarebbe stato schernito come solito. Eren in poco tempo era passato da essere l’Ultima Speranza dell’Umanità a loro carnefice, il nemico da abbattere ad ogni costo.
 
Jean era stato solo uno spettatore di quegli eventi. Lui e il possessore del Gigante d’Attacco non stavano insieme, non più almeno. Arrivati a quel punto della storia, il ragazzo non sapeva nemmeno definire ciò che Eren Jaeger aveva rappresentato e rappresentava per lui. 
 
Si erano avvicinati quasi per caso, come spesso avviene tra adolescenti, e i loro litigi erano solo un modo per mascherare quel acerbo desiderio che era nato senza che potessero accorgersene. Non ricordava nemmeno chi avesse fatto il primo passo se lui o quel bastardo suicida, come aveva iniziato a chiamarlo. Jean sapeva solo che dalla prima volta che aveva assaggiato il sapore delle labbra di Eren era conscio che non ne avrebbe mai avuto abbastanza. Il fatto che quel ragazzino impudente nascondesse un mostro sotto la pelle se possibile, a quel tempo lo aveva eccitato ancora di più. Titano o meno, per lui Eren era sempre lo stesso, un moccioso da domare e zittire. 
 
Non sapeva Jean, cosa gli piacesse così tanto, forse era il carattere ribelle di Jeager o la sua caparbietà. C’erano momenti in cui aveva davvero voglia di spaccargli la faccia ma altri, soprattutto quando lo stringeva tra le sue braccia, in cui era certo che non esistesse un essere più bello e prezioso al mondo.
 
L’Eren quindicenne si era trasformato sotto i suoi occhi, era sbocciato giorno dopo giorno, diventando un bellissimo diciannovenne. I muscoli del suo petto si erano fatti più definiti,  come lui, era cresciuto in altezza ma i suoi occhi avevano finito con il perdere tutta la luce e l’innocenza che li avevano caratterizzati un tempo.
 
Eren Jeager non era mai stato innocente. Ora Jean lo sapeva.
 
Qualche anno prima, Mikasa gli aveva raccontato di come, quando erano ancora solo dei bambini, avessero ucciso gli uomini che avevano massacrato la sua famiglia. Quando aveva incontrato Eren per la prima volta, questi era già un assassino, e Jean non poteva saperlo. I suoi occhi però, tradivano ancora un barlume di speranza, un misto di arroganza e una folle dose di coraggio. A quel tempo, quando si erano avvicinati fino ad arrivare a sfiorarsi, Eren poteva ancora essere salvato dal pericolo più grande, se stesso.
 
Solo con il senno del poi Jean aveva capito che Eren era pericoloso, ma non nel modo in cui aveva creduto all’inizio. Come tutti gli altri, era stato ingannato da quel ragazzino dagli occhi impossibili, che nascondeva dentro di sé il potere di distruggere l’intera razza umana. 
 
Nel corso degli ultimi anni, quando avevano incontrato l’umanità al di là del mare, e il cambiamento di Eren si era fatto più evidente, Jean aveva cercato di incolpare chiunque. Zeke, Yelena, Marley. Quando invece il nemico più temibile di Eren si era rivelato essere Eren stesso.
 
Non ricordava nemmeno l’ultima volta che avessero consumato una notte di passione. 
 
Quel qualsiasi cosa ci fosse mai stato tra loro se n’era andato quando avevano raggiunto il mare o forse molto prima. Jean sapeva che si era trattato solo di  un amore adolescenziale, la sua prima cotta non poteva sicuramente durare per tutta la vita. Se erano fortunati sarebbero sopravvissuti entrambi fino a raggiungere l’età adulta. In un certo senso era tutto più semplice quando vivevano tra quelle alte mura e i nemici erano solo i Titani. Li anche due individui diversi come loro avevano potuto trovare una sorta di equilibro; scoprire quel sentimento che li legava e che a parole non potevano esprimere.
 
Non si erano soffermati così tanto su ciò che condividevano perché sapevano entrambi quanto il destino potesse essere imprevedibile. Erano molto giovani, ma nel corso delle loro brevi esistenze avevano già sperimentato il dolore della perdita. Sapevano che potevano amarsi un giorno ed essere fatti a pezzi quello dopo. Bastava una sola distrazione, una sola. Eren aveva visto l’intera squadra Levi sacrificarsi per lui. Jean aveva riconosciuto il cadavere di Marco prima che bruciasse insieme ad una pira di corpi senza nome. Le loro esistenze erano effimere come un battito di ciglia. Ecco perché non avevano mai dato un nome a quel sentimento. Non sarebbe servito a nulla.
 
Armin e Mikasa avevano capito tutto senza bisogno di spiegazioni. Conoscevano Eren meglio di chiunque altro e Jean ricordava, come un tempo fosse stato geloso di quel legame. Poi aveva compreso semplicemente come quei due fossero la famiglia di Eren, o ciò che ne rimaneva. 
 
Connie e Sasha dubitava avessero mai intuito qualcosa, all’inizio almeno, erano ancora troppo ingenui per accorgersi dei loro scambi di sguardi o come le loro mani avessero iniziato a sfiorarsi a riparo da occhi indiscreti. Historia sapeva, semplicemente perché con Ymir aveva avuto modo di condividere qualcosa di simile. Reiner era stato il più complicato e imperscrutabile. Solo anni dopo, quando lo avevano rivisto prima della battaglia finale, gli aveva confidato che era stato semplicemente geloso di lui. Jean lo aveva picchiato ma non per quello, aveva più di un conto in sospeso con il proprietario del gigante Corazzato e la menzione ad Eren era solo stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
 
Sul capitano Levi non poteva dire nulla. Se sapeva di loro, se n’era sempre guardato bene dal dire o fare qualsiasi cosa. Non lo aveva mai giudicato e per questo Jean gliene era grato. Hanji gli aveva parlato solo una volta, quando ormai era chiaro per tutti chi fosse il vero nemico del genere umano. Gli aveva chiesto se sarebbe mai stato in grado di premere il grilletto contro Eren, e quanto fosse emotivamente coinvolto in quella faccenda.
 
Jean ricordava solo di aver abbassato lo sguardo, colpevole. 
 
Ormai era certo di non provare più nulla per il minore dei fratelli Jaeger eppure non era sicuro di come avrebbe agito se si fosse mai presentata quell’eventualità.
 
Una parte di lui sarebbe sempre stata inesorabilmente legata a quel ragazzino. 
 
Non si vergognava del passato che avevano condiviso, sarebbe stato un atteggiamento ipocrita da parte sua, eppure faticava ad accostare l’Eren attuale, il loro nemico, all’immagine del ragazzino impertinente che aveva incontrato a quindici anni e che da allora giocava a tenere sotto scacco i suoi sentimenti.
 
Non avrebbe mai creduto che un giorno le loro esistenze sarebbero cambiate così profondamente, i nemici di ieri erano diventati alleati di oggi. Ogni qualsiasi logica, buonsenso o raziocinio era stato ampiamente superato. Eren semplicemente aveva varcato quel limite che lo aveva elevato a minaccia per l’umanità intera, ed in quanto tale andava abbattuto. Tutto qui.
 
Se chiudeva gli occhi Jean, rivedeva ancora come le sue gote si coloravano di un lieve rossore subito dopo aver ricevuto un bacio o fatto l’amore. Quella versione di Eren era in assoluto la sua preferita, mentre cercava di distogliere lo sguardo da lui. Il giovane Jaeger sbuffava, imprecava ma poi finiva col gettarsi nuovamente tra le sue braccia, come se Jean fosse il suo unico appiglio, la sua ancora di salvezza. 
 
Non voleva dubitare di lui, non avrebbe mai voluto farlo. Aveva iniziato la sera in cui Sasha era stata assassinata. Eren era seduto e fissava il vuoto, un lieve sorriso era spuntato sul suo volto e Jean aveva perso il controllo. Una loro amica, una compagna preziosa con la quale avevano combattuto fino a quel momento, era appena morta e lui rideva? Fu la prima volta che vide il lume della pazzia in quello sguardo. Come aveva capito in quel medesimo istante che quello ormai non era più l’Eren Jaeger che aveva conosciuto ed amato. Era solo il ricettacolo di non sapeva quanti giganti, un vero demonio. Forse Marley non si era affatto sbagliata, loro discendevano davvero da quelle creature, bastava osservare Eren per capirlo.
 
Una parte di Jean però aveva inconsciamente continuato a giustificarlo. 
 
Era sicuramente manipolato da Zeke, si ripeteva come un mantra nella sua testa.
 
Quando divenne chiaro, che Eren non rispondeva ad altri se non a sé stesso, Jean decretò la resa. Non c’era più nulla che potesse fare.
 
Si era preparato per lo scontro finale senza battere ciglio. La sua mente si era completamente svuotata. La sera prima, aveva finito con lo sfogare tutta la sua rabbia e la sua frustrazione verso Reiner, ma attaccarlo non lo aveva in alcun modo fatto sentire meglio, anzi, se possibile aveva solo aumentato il suo senso di colpa. Era quasi arrivato pure a perdonare la mocciosa che aveva ucciso Sasha. Alla fine tutti loro erano solo vittime di quel mondo, di quella società che li aveva messi gli uni contro gli altri. Ed Eren contro tutti.
 
Ora Jean si preparava a scendere in battaglia contro l’unica persona che avesse in qualche modo mai amato.
 
Amore. Era questo che aveva provato per Eren?
 
Ormai non ne era sicuro. Non era più sicuro di nulla. Non aveva nessuna certezza. 
 
Sapeva solo che ormai erano giunti all’epilogo. In un modo o nell’altro presto quella storia sarebbe finita. Non voleva pensare ad Eren, perché non voleva immaginare quale sorte gli sarebbe toccata.
 
Lo odiava, eppure non riusciva a farlo tanto da desiderarne la morte. 
 
Jean avrebbe sperato di ottenere una soluzione diplomatica. 
 
Quando la marcia dei colossali iniziò anche questa sua speranza venne meno.
 
Quando finalmente si trovarono a faccia a faccia con Eren bastò una sola occhiata. Un fugace scambio di sguardi. Jean conosceva ogni sfumatura di colore presente in quelle iridi e ne rimase sorpreso. Non riusciva a crederci.
 
Eren voleva essere lì e voleva che fossero proprio loro a fermarlo. Non aveva il minimo dubbio. Strinse saldamente la presa sulle lame che teneva tra le mani. Erano circondati e ovunque si voltasse c’erano giganti che avanzavano. Più ne uccideva e più ne comparivano.
 
Jean non seppe dire dove trovò il coraggio per tentare quel folle gesto, si diresse a gran velocità verso Eren. Azzerando la mente. 
 
Un solo taglio. Netto. Preciso. 
 
Sapeva di non averlo ucciso. Non avrebbe mai potuto dargli il colpo di grazia.
 
Eren un tempo era stato tutto il suo mondo, ora non sapeva cosa fosse. Però in quello sguardo aveva intravisto un barlume di speranza. Forse c’era ancora una qualche possibilità di redenzione, forse non tutto era perduto.
 
Appena toccò il suolo Jean si prese la testa tra le mani e si abbandonò ad un pianto liberatorio. Connie fu subito al suo fianco.
 
Aveva fatto il possibile, ora la decisione finale spettava ad Eren.
 
Non voleva credere che il loro epilogo sarebbe stato così. 
 
L’ultima cosa che vide come essere umano fu il cielo limpido, per una frazione di secondo pensò a come quel colore fosse simile allo sguardo di Eren. Era un folle senza speranza, era ancora innamorato del suo carnefice. Il destino aveva uno strano senso dell’umorismo.
 
Quello che Jean non poteva sapere era che anche Eren in quel momento aveva volto lo sguardo verso di lui. Anche il minore dei fratelli Jaeger avrebbe voluto un finale diverso ma la parola fine non era ancora stata scritta.
 

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