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Cowt-14 Quinta Settimana  - M1

Fandom: Bungou Stray Dogs 

Numero parole: totale 2794  (capitolo 1: 485 ; capitolo 2: 1241; capitolo 3: 1068 )



Capitolo 1: una scelta difficile


Il cielo su Yokohama era color cenere.

Fumo nero si levava dalle macerie degli edifici, mischiandosi alla nebbia del mattino, e nell’aria stagnava un odore acre di bruciato, sangue e metallo.

Atsushi camminava in silenzio, il rumore dei suoi passi sull’asfalto spezzato era l’unico suono, rotto solo di tanto in tanto dal ronzio di droni in ricognizione o dal crepitio delle fiamme rimaste vive qua e là.

Il suo mantello era lacerato. Le mani sporche. Il cuore pesante.

Dazai non gli aveva detto cosa avrebbe trovato. Solo chi.

Un ragazzo, poco più giovane di lui. Nome in codice: Thanatos.

Era stato rapito anni prima da un gruppo sconosciuto, cresciuto in un laboratorio dove il suo potere aveva divorato lentamente ogni cosa: umani, animali, strutture, tempo stesso. L’abilità che possedeva – un parassita astrale che consumava la vita stessa – era considerata da Dostoevskij la chiave per distruggere il mondo.

E ora era lì.

Nel centro di controllo di un edificio abbandonato, immerso nel silenzio, sotto terra.

Atsushi fermò il respiro quando arrivò davanti alla porta. Le sue dita tremavano. Non era per la paura. Non stavolta. Era qualcos’altro.

Un ronzio costante gli martellava la testa. Non era dolore fisico, era quella parte di lui che aveva imparato a tacere: la voce del bambino che era stato.

“Non voglio farlo. Non voglio diventare come loro. Ma se non lo faccio… moriranno tutti, giusto?”

Si passò una mano nei capelli, sudati e sporchi.

“Chi sono io per decidere se qualcuno merita di vivere o morire?”

Per anni aveva creduto che il suo valore dipendesse dalla capacità di proteggere gli altri. Che essere un eroe significasse compiere il bene, anche quando faceva male.

Ma ora, davanti a quella porta, Atsushi capiva che quel confine non era mai stato così sottile.

Spalancò la porta.

All’interno, la luce fioca rivelava un corpo rannicchiato a terra, incatenato, intubato. Era solo un ragazzo. I capelli bianchi come la neve, la pelle diafana, gli occhi chiusi. Dormiva.

Non sembrava un mostro.

Sembrava lui.

Quando mi trovai in quell’orfanotrofio. Quando nessuno mi voleva. Quando avrei fatto di tutto perché qualcuno mi vedesse.

Atsushi sentì il respiro mancare.

La pistola nella sua mano pesava più di qualsiasi altra cosa avesse mai sollevato.

Si inginocchiò accanto al ragazzo.

Non si svegliava.

La sua pelle sembrava quasi bruciare a contatto con l’aria. L’Abilità vibrava nel suo corpo, affamata, come una bestia in gabbia.

Un colpo e tutto sarebbe finito.

Un colpo.

Solo uno.

“Sei solo un ragazzino…” sussurrò

“ Come me”

Fu allora che il ragazzo aprì gli occhi.

Erano vuoti. Ma anche pieni di qualcosa che Atsushi conosceva fin troppo bene: dolore.

E lì, con le dita sul grilletto, Atsushi vide le due strade aprirsi davanti a lui.

Due vite. Due finali. Due Atsushi.

Il giudizio che stava per pronunciare non era solo per quel ragazzo.

Era per sé stesso.


Capitolo II: Cuore umano


Il dito di Atsushi tremava sul grilletto.

L’istinto gridava di premere. La voce di Dazai gli rimbombava nella mente: “Non esitare, o sarà la fine di tutto.”

Ma davanti a lui non c’era un’arma.

C’era un ragazzo.

Magro, spezzato, gli occhi grigi come ceneri di qualcosa che non aveva mai avuto il tempo di ardere. Fu in quegli occhi Atsushi vide la propria immagine riflessa.

Con un respiro lento, abbassò la pistola.

Silenzio. Un silenzio così profondo da sembrare eterno.

Poi il ragazzo parlò, con una voce fioca e incrinata come vetro:

“Perché… non mi hai ucciso?”

Atsushi abbassò lo sguardo. Non sapeva rispondere. O forse sì, ma la risposta lo spaventava.

“Perché… se lo facessi… smetterei di essere me stesso”

Il ragazzo lo fissò a lungo, come se quelle parole fossero in una lingua dimenticata. Poi svenne.

Portarlo all’Agenzia fu una decisione solitaria. Nessuno l’aveva autorizzato. Nessuno l’aveva previsto.

Quando lo vide entrare con il corpo tra le braccia, Kunikida sbiancò. Tanizaki si irrigidì. Yosano non disse una parola.

Fu Dazai a rompere il silenzio.

“Cos’hai fatto, Atsushi?” domandò l’ex Dirigente della Port Mafia. Il tono non era severo. Era… triste. Come se sapesse già la risposta.

“L’ho salvato,” mormorò il ragazzo tigre “come tu hai fatto con me” aggiunse dopo una manciata di secondi.

Dazai si avvicinò, lo guardò dritto negli occhi. Per un istante, sembrò più vecchio. Più stanco. Poi si voltò.

“Allora preparati a sopportarne il peso”

Nei giorni seguenti, l’Agenzia fu sospesa. Le forze di sicurezza del governo iniziarono un’inchiesta. Fukuzawa, dalla stanza d’ospedale, diede il suo silenzioso assenso a proteggere il ragazzo.

Il suo nome era Kaoru.

Aveva quattordici anni. Non ricordava nulla della sua vita prima del laboratorio. Non sapeva parlare bene, né camminare. Ma ogni tanto, quando Atsushi gli era accanto, sorrideva. Un sorriso piccolo, incrinato, come il primo raggio di sole dopo una lunga notte.

Kaoru non sapeva ancora cosa fosse l’amore. O il perdono.

Ma conosceva cos’era la gentilezza.

E la stava imparando.

“Pensi ancora che io sia un mostro?” chiese un giorno, con la voce tremante.

Atsushi si sedette accanto a lui, poggiandogli una mano sulla spalla.

“Io mi sono sentito così per anni. Ma poi ho capito che a renderci umani non è quello che abbiamo dentro… ma le scelte che facciamo”

Kaoru annuì piano.


***


Kaoru non parlava molto.

All’inizio comunicava a gesti, o con silenzi troppo lunghi per un ragazzo della sua età. La lingua sembrava un oggetto nuovo, un regalo ancora da scartare.

Quando lo chiamavano, si voltava lentamente, come se ogni parola ricevuta potesse nascondere un rimprovero o una minaccia.

I suoi occhi erano quelli di chi ha visto troppo e capito troppo poco.

Atsushi lo seguiva ovunque nei primi giorni, come un’ombra paziente. Lo aiutava a vestirsi, a mangiare, a fare piccoli passi nel corridoio dell’Agenzia. Nessuno li fermava, anche se nessuno era davvero d’accordo con quella scelta.

Nessuno, tranne Fukuzawa.

“Osservalo. Se fa del male, è tua responsabilità. Ma se invece è qualcosa di più… merita una possibilità.”

Quelle parole gli tornavano alla mente ogni volta che il dubbio gli rosicchiava lo stomaco.

Una notte Kaoru si svegliò urlando.

L’Abilità esplose intorno a lui in un’onda di energia nera che spezzò vetri e bruciò la carta dei fascicoli in archivio.

Yosano corse nella stanza, seguita da Tanizaki e Kyouka. Dazai arrivò per ultimo.

Atsushi era già lì, seduto a terra, il corpo coperto da tagli sottili. Non si era mosso.

“Non è colpa sua,” disse, con la voce calma, anche se il suo sangue sporcava il pavimento.

“Sta solo sognando”

Dazai non rispose. Si chinò, posò una mano sulla fronte del ragazzo e, per un attimo, l’Abilità si quietò.

Poi si alzò e si avvicinò ad Atsushi. Lo tirò in piedi con forza, lo trascinò in corridoio e lo spinse contro il muro.

“Ti sta consumando” sibilò.

“Non vedi che ti sta trascinando nel suo abisso?”

Atsushi non distolse lo sguardo. Sfoderando un inconsueta nota di decisione che l’ex mafioso non aveva mai visto.

“Allora vorrà dire che lo seguirò. Fino a quando troveremo la luce insieme”

Dazai lo lasciò andare, come se fosse stanco di combatterlo.

“Stai diventando più simile a me di quanto pensi” vi era una nota di rimpianto in quelle parole, come l’eco di un passato lontano.

Forse ho fallito Odasaku, non sono stato in grado di salvare un orfano.


***


Un pomeriggio, Kaoru porse ad Atsushi un foglio spiegazzato. Era un disegno.

Due figure stilizzate: una grande, con le orecchie da tigre. Una piccola, con un’esplosione nera intorno.

“Sei tu?” domandò il ragazzo tigre, indicando la figura più piccola.

Kaoru annuì. Poi, con voce incerta aggiunse;

“Sai… adesso…con te… è meno buio”

Atsushi sorrise. Non ne fu certo, ma pensò di sentire il cuore scaldarsi un poco.


***


Un giorno, il potere di Kaoru si attivò volontariamente. Non per paura. Non per rabbia. Ma per proteggere un uccellino caduto dal nido.

Le sue mani tremarono, ma la materia non venne distrutta.

Si plasmò. Il terreno si alzò, formò un nido provvisorio, morbido e protetto.

Kaoru lo guardò con stupore.

Atsushi rimase immobile. Non era un’illusione. Non era istinto.

Era volontà.

Era controllo.

“Ce l’hai fatta,” mormorò quasi commosso il ragazzo tigre.

“Ce l’hai fatta davvero” una lacrima gli rigò la guancia


***


Quella sera, mentre Kaoru dormiva, Atsushi rimase da solo sulla terrazza.

Dazai gli si avvicinò, in silenzio.

“Il suo potere è mutato. Lo ha cambiato. Come hai fatto tu”

Atsushi si voltò, sorpreso.

Dazai si accese una sigaretta. Non fumava quasi mai. 

“Ogni Abilità è una proiezione del cuore, Atsushi. Se cambia il cuore… cambia anche il potere”

“Ma non credevi che potesse farcela”

“No. Ma tu sì”

E a volte… la fede è più potente di ogni logica.


***


Quando la Port Mafia attaccò l’Agenzia per mettere le mani su Kaoru, fu lui stesso a fermarli.

Uscì da solo. Il corpo ancora fragile, le mani nude.

Di fronte a Chuuya, attivò l’Abilità. Una voragine si aprì sotto i piedi degli aggressori, ma si arrestò a pochi centimetri da loro.

Non li uccise.

Chuuya lo guardò in silenzio. Poi rise.

“Tsk. Quel moccioso ti ha davvero insegnato qualcosa”

Kaoru si voltò verso di lui. Un sorriso tirato sul volto

“È stato Atsushi a insegnarmi come essere umano” il rosso rimase in silenzio.

Sapeva come ci si sentiva, cosa significavano quelle parole. Era una ferita non del tutto sanata presente nel suo animo, una debolezza che mai avrebbe ammesso di fronte al proprio nemico. Si scambiò una rapida occhiata con Dazai. Ne aveva riconosciuto la figura tra le ombre e le macerie che li circondava. Quello Sgombro era il solo a conoscere il suo passato, la sua storia.

Il bastardo sapeva che non lo avrebbe mai attaccato. Era, come sempre, tutto parte di un suo piano.

Imprecò, prima di allontanarsi.


***


Dopo quella notte, Kaoru scomparve.

Lasciò una lettera, poche parole scritte male:

“Non voglio fare del male a nessuno. Andrò via. Ma grazie. A te devo il fatto di avere cuore.”

Atsushi la lesse, seduto da solo sulla terrazza dell’Agenzia.

E pianse. In silenzio.

Aveva salvato una vita. Ma aveva perso qualcosa di sé.

O forse… aveva trovato qualcosa che non aveva mai avuto davvero: la certezza che la compassione non è una debolezza, ma la più forte delle scelte.


Capitolo III: bestia interiore



Un respiro.

Uno solo.

Poi il colpo.

Il suono esplose nella stanza come un tuono spezzato.

Il corpo del ragazzo sobbalzò, poi si afflosciò a terra, inerme.

Atsushi restò fermo.

Non pianse.

Non urlò.

Non ci fu redenzione in quel gesto. Seguì solo silenzio.

Eppure qualcosa dentro di lui si spezzò per sempre.

Atsushi non disse nulla quando uscì dal rifugio.

Dazai lo attendeva fuori, le mani in tasca e lo sguardo perso in un punto indefinito del cielo.

“È finita?” domandò

Il ragazzo tigre annuì.

“Bene,” fu la risposta. Ma non c’era alcuna soddisfazione nella voce di Dazai. Solo rassegnazione.

Atsushi voleva dirgli che aveva fatto la cosa giusta. Che aveva salvato vite. Che non aveva avuto altra scelta.

Ma la verità era che… non era più sicuro di nulla.


***


Nei giorni seguenti, fu lodato.

Il governo ringraziò l’Agenzia.

Il popolo parlava di Nakajima Atsushi, l’eroe di Yokohama.

Un giovane capace di decidere ciò che nessuno aveva il coraggio di fare.

Ma ogni notte, il ragazzo con gli occhi violacei tornava nei suoi sogni. Non parlava. Non urlava.

Lo guardava soltanto.

E Atsushi non riusciva a sostenerne il peso di quelle iridi. Il senso di colpa gli smorzava quasi il respiro


***


“Hai solo fatto ciò che dovevi,” gli disse Kunikida, il giorno in cui Atashi trovò il coraggio di esprimere i propri dubbi in Agenzia.

“È stato un gesto di forza,” aggiunse Tanizaki prima di venire atterrato da Naomi.

Solo Yosano lo fissava in silenzio, senza dire nulla. Come se vedesse oltre.

Dazai non disse mai più una parola sull’accaduto. Era l’ultimo in grado di dispensare consigli, le sua mani erano gronde di sangue. Il ricordo di Odasaku ancora vivo nella propria memoria. 


***


Nei mesi seguenti Atsushi divenne più freddo. Più efficiente.

Imparò a colpire prima, a dubitare dopo.

Cominciò a vedere il mondo in termini di minaccia o innocuità. Bianco o nero. Vivo o morto.

Con il tempo, anche la sua trasformazione da tigre cambiò.

Era più rapida. Più brutale. Meno umana.

Lo sguardo della bestia non era più quello di un animale in cerca di redenzione.

Era quello di un predatore che aveva trovato il proprio scopo. Fu allora che Dazai comprese il proprio errore, aveva permesso lui tutto quello.


***


Un giorno, cinque anni dopo, un altro ragazzo venne trovato. Stessa età. Stessa aura. Stesso potere. Per Atsushi fu come vivere un déja-vu.

Quando lo portarono al suo cospetto, legato e tremante, non gli fece tenerezza, né pietà.

“Per favore… io non voglio far male a nessuno…”

Atsushi lo fissò.

Per un attimo, il suo sguardo tremò.

Per un attimo, si ricordò chi era stato. Erano memorie lontane nel tempo, frammenti di una vita che quasi non ricordava di aver vissuto.

Poi fece rapido un cenno con la mano.

Il ragazzo fu portato via. Nessuna espressione. Nessun sentimento. Tornò freddo e inflessibile come il ghiaccio.

Dazai, appoggiato a una parete, osservava la scena in silenzio.

Non parlava più con Atsushi da mesi.

Non ne aveva bisogno. Il ragazzo che aveva salvato non esisteva più.

Quella che aveva davanti era solo una tigre.

Addestrata.

Letale.

Senza cuore.


***



All’inizio fu solo un riflesso.

Uno sguardo più freddo.

Una voce più tagliente.

Una mano che tremava meno quando Atsushi stringeva un’arma.

Ma poi… la trasformazione si radicò più in profondità.

La tigre dentro di lui non era più una creatura spaventata in cerca di redenzione.

Aveva imparato ad uccidere e aveva smesso di chiedere scusa.

Ogni volta che si trasformava, Atsushi lo sentiva: l’istinto si faceva più nitido, i pensieri più veloci, la coscienza più remota.

La bestia non era più solo un’abilità. Era diventata il riflesso della sua nuova identità.

E Atsushi non se la sentiva di lottare più contro di essa. Abbracciò il suo potere, la sua essenza, diventando un tutt’uno con lei.


***


Con i membri dell’Agenzia, la distanza crebbe come neve che si accumula, lenta ma inesorabile.

Tanizaki cercò di parlargli. Una volta. Poi smise.

Kyouka non riusciva più a guardarlo negli occhi.

Yosano si limitava ad annuire quando lo incontrava. Il suo sguardo era quello di chi aveva visto troppi mostri e non ne voleva altri sotto il proprio tetto.

Solo Dazai rimaneva.

Ma anche lui, sempre più spesso, taceva. Riconoscendo già i segni che precedevano la sua caduta verso l'oblio.



***



“Non è questo ciò che eri destinato a diventare,” gli disse l’ex Dirigente nel cuore della notte, in un corridoio vuoto dell’Agenzia.

Atsushi si voltò. Aveva appena completato una missione. I suoi artigli erano ancora sporchi di sangue, così come i suoi vestiti.

“Destino? “ gli fece eco. 

“Non esiste nessun destino. Solo scelta. E io ho scelto di sopravvivere”

“Sopravvivere non è vivere”

Atsushi si avvicinò. I suoi occhi, un tempo chiari e smarriti, erano duri come acciaio.

“Tu volevi salvare il mondo, Dazai. Io voglio solo impedirgli di distruggermi. E se questo significa diventare come loro, allora sì. Lo accetto”

Dazai non disse altro e per la prima volta distolse lo sguardo.

Ho fallito Odasaku, perdonami

Fu il suo unico pensiero che lo accompagnò nell’oscurità della notte.


***


In una missione segreta, Atsushi fu mandato ad annientare un gruppo di “soggetti instabili”, tutti ragazzini dotati di Abilità pericolose.

Erano guidati da un vecchio conoscente: Akutagawa.

Era sopravvissuto. Cambiato. Ma ancora convinto che il mondo dovesse essere purificato dal dolore, non preservato.

Quando si incontrarono, Akutagawa gli sorrise.

“Guardati. Un tempo piagnucolavi per un briciolo di dolore. Ora sei più simile a me di quanto tu voglia ammettere”

“Taci”

“Hai distrutto un ragazzo come noi. Senza rimorso. Senza esitazione. E ora sei venuto a finire il lavoro Il prossimo passo è semplice, Jinko: smettere di credere che ciò che fai abbia ancora un significato”

Atsushi lo abbatté con una precisione spietata. Nessun urlo. Nessuna esitazione.

Ma le parole rimasero. Come spine sotto pelle.

Quello fu il punto di non ritorno, il momento in cui la sua discesa negli inferi potè dirsi completa.

Nakajima Atsushi era morto, ciò che vi rimaneva non era altro che un’ombra illuminata dal chiaro di luna.


***


Anni dopo, in un rapporto confidenziale, Osamu Dazai annotò le seguenti parole:

“Nakajima Atsushi: stabile. Letale.

Controlla perfettamente la sua Abilità.

Ma ha perso la capacità di distinguere tra difesa e annientamento.

Non riconosce più il volto del nemico.

Non distingue più la voce della coscienza.

La Tigre è sveglia.

L’uomo, addormentato.”





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