(Bungo Stray Dogs) - Ouvrir ton coeur
Mar. 18th, 2022 10:27 am![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Cowt-12 - Quarta Settimana – M3 APERTO
Fandom: Bungo Stray Dogs
Raiting: SAFE
Numero Parole: 3032
“Vale la pena festeggiare la tua nascita”
Le parole di Arthur continuavano a rimbombargli nella mente con insistenza, soprattutto in quel giorno, quello che il suo partner aveva scelto per festeggiare il suo compleanno. Erano passati quattro anni da quando Verlaine aveva sconfitto il Fauno e riacquistato la propria libertà, quattro anni da quando era “nato”. Ne erano passati altrettanti da quando aveva perso anche Arthur. Pensare al suo partner faceva ancora male e riportava alla mente altre stranissime sensazioni sulle quali l’assassino non voleva soffermarsi troppo o indagare. Era l’ordine naturale delle cose, gli esseri umani vivono e muoiono. Non ci si poteva fare nulla.
Tuttavia, quel giorno particolare, non poteva evitare di pensare a quando, tanti anni prima, Arthur aveva cercato di spiegargli che senso avesse celebrare il proprio compleanno. Allora Paul non era certo di aver capito, ma si era lasciato comunque trascinare dal compagno, dal suo strano modo di fare, da quei regali. All’inizio aveva mantenuto un atteggiamento sospettoso, per poi tranquillizzarsi. Aveva capito cosa Arthur stesse tentando di fare, come anche il senso di quel regalo, quel cappello che ora continuava a rigirarsi tra le mani come il più prezioso dei tesori. Più lo guardava e più si trovava a sospirare. Rimbaud voleva renderlo umano e una parte di lui voleva esserlo. Se avesse messo per sempre a tacere quel mostro dentro di se’ forse avrebbero potuto anche essere felici. A Verlaine piaceva illudersi, sapeva che non sarebbe durata. Lo sapeva dal primo momento in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli di Arthur, in quel laboratorio.
Non potevano stare insieme, non avevano futuro. Lui era un essere artificiale mentre Rimbaud era, lui era...
Sebbene fossero passati anni dalla sua morte Verlaine non sapeva ancora come descrivere il suo rapporto con il moro. Erano stati partner, compagni, amici, amanti, ogni parola sembrava stonare in qualche modo; forse perché certi legami non possono essere racchiusi in una misera definizione. Loro erano un qualcosa, un qualcosa che non sarebbe mai dovuto esistere. Rimbaud sosteneva che vi era un legame tra i loro cuori. Paul come sempre ci aveva creduto, come lo aveva fatto con ogni parola che aveva lasciato le labbra dell’altro. D’altronde non aveva motivo di dubitare.
Arthur gli aveva insegnato ad essere umano, e se fosse stato possibile, Paul lo sarebbe diventato per lui. Purtroppo, molto spesso la realtà e i desideri non coincidono.
Ripensare a quel unico compleanno festeggiato insieme faceva insolitamente male. Era una sensazione che Verlaine non aveva mai provato, ma non era dissimile al fastidio che provava quando vedeva insieme Dazai e Chuuya. Era una sorta di morsa che gli attanagliava lo stomaco e non sembrava intenzionata a dargli tregua.
Arthur Rimbaud non era come lui. Non lo era mai stato. Gli aveva donato il suo nome e Paul gli aveva affidato il suo cuore. Non era bastato. Non era stato sufficiente. Aprire il proprio animo faceva male, lo aveva imparato a proprie spese. Era quel suo lato umano ad aver sofferto.
Ora, senza di lui, tutto sembrava così difficile. Rimbaud era stato a lungo la sua guida, il suo punto di riferimento. Quanto lo aveva odiato e quanto lo odiava ancora. Aprire il proprio animo faceva male, perché la scelta di provare sentimenti l’aveva reso in qualche modo vulnerabile. Solo ad Arthur aveva concesso di vedere quella parte di sé. Ripensare al loro passato insieme però doleva ancora.
Quello era solo un giorno come un altro, eppure ogni cosa lo riportava con la mente a quell’unico compleanno festeggiato con Arthur. Erano a Parigi. Era quella parentesi della sua esistenza che Verlaine aveva catalogato sotto l’aggettivo felice. Forse non conosceva appieno neppure quel sentimento, però, pensando a quel periodo non riusciva a definirlo se non in quel modo.
Quella volta, Arthur si era presentato nel suo nascondiglio con un budino e del vino sottobraccio. All’inizio Verlaine si era limitato a fissarlo. Non riusciva davvero a capire perché gli umani volessero tanto festeggiare il giorno in cui erano venuti al mondo. Anche a distanza di tanti anni però, poteva ricordare perfettamente il dolce sorriso comparso sul viso di Arthur mentre gli spiegava quel concetto a lui sconosciuto, porgendogli sul capo una bombetta creata appositamente per lui.
“Indossandola potrai obbedire solo alla tua volontà” aveva concluso Rimbaud versandogli un bicchiere di vino e cercando accuratamente di evitare il suo sguardo. Paul lo aveva trovato adorabile, come il leggero rossore che gli aveva colorato le guance e che aveva seguito quelle parole. Così aveva allungato una mano, non per prendere il vino, ma per afferrare quella del altro. Arthur non si era sottratto a quel tocco gentile. Si era voltato ed erano restati qualche secondo a guardarsi. Specchiandosi l’uno negli occhi dell’altro. Sembravano due adolescenti alle prese con la prima cotta, e forse lo erano.
Verlaine era tranquillo. Non provava nessuna particolare emozione. In quel momento aveva solo voglia di toccare Arthur. Forse non aveva ancora ben compreso tutta la faccenda del compleanno e del ricevere regali ma la visita e la compagnia del moro gli avevano fatto piacere. Uno strano calore si era formato dentro di lui. Era una sensazione piacevole che solo Arthur gli trasmetteva.
“Cosa bisogna dire in questo caso?” Ricordava di aver chiesto con una punta d’incertezza. In fondo era pur sempre il suo primo compleanno. Arthur aveva sorriso per poi lasciare la sua presa e passargli altro vino.
“Non c’è una risposta giusta o una sbagliata. Di solito si ringraziano gli ospiti per i regali. Ti sono piaciuti?” Era calato nuovamente il silenzio ed erano tornati a fissarsi. Arthur aveva paura di una sua risposta negativa. Lo stava studiando, stava cercando di capire se la sua idea gli fosse piaciuta o meno.
Verlaine aveva bisogno di tempo per rispondere. Effettivamente il budino che gli aveva offerto era buono e pure la bombetta sembrava utile. Arthur però interpretò questo suo silenzio in altro modo.
“Non importa ora sarà meglio che vada”
Verlaine lo guardò ancora più confuso di prima. Non gli sembrava di aver fatto qualcosa di sbagliato.
“Resta” quelle parole uscirono dalla sua bocca con una facilità disarmante. Non voleva restare solo, voleva che Arthur rimanesse un altro po’. Tutto qui. Era la sera prima di un’importante missione, per quanto fosse abituato alla solitudine non voleva separarsi dal proprio partner. Non quella volta.
“Non abbiamo ancora finito il vino” aggiunse come se servisse un’ulteriore spiegazione.
Arthur lo fissò di sottecchi ma si rimise a sedere versando altri due bicchieri.
“Ti piace bere” disse dopo un po’. Era più che altro una constatazione. Verlaine fece spallucce.
“Sono francese” entrambi sorrisero.
Restarono così per qualche minuto bevendo in silenzio. Fu il biondo a rompere quella situazione di stallo;
“Grazie. Questo compleanno è stato interessante” Arthur alzò un sopracciglio;
“Interessante?”
“Si. Penso che possa essere considerato l’ennesimo passo verso la mia ricerca di umanità”
“Tu sei un essere umano Paul” Arthur lo diceva sempre con una tale convinzione, come se ci credesse davvero. Era Verlaine però il primo a dubitare della sua stessa natura. Forse perché conscio della bestia che nascondeva sotto la propria pelle, quel potere che se non avesse tenuto sotto controllo avrebbe portato solo morte e distruzione. Odiava profondamente Arthur ma allo stesso tempo non avrebbe mai voluto ferirlo. Lui era un mostro, una bestia senz’anima, aveva ucciso il proprio creatore. Era stato creato per quello, per essere uno strumento di morte e distruzione.
“Perché fai questo per me?” Aveva invece domandato. Tante cose del comportamento della spia non gli erano del tutto chiare. Come lo sguardo che stava ricevendo in quel preciso istante da Arthur. Odiava quegli occhi, quell’espressione. Eppure allo stesso tempo sapeva che non avrebbe mai trovato nessun altro come lui.
“Non lo so, forse perché desidero solo che tu sia libero” un’altra cosa che odiava era la sincerità del proprio partner. O forse Rimbaud era semplicemente troppo bravo a mentire. Non se la sentiva di escludere anche quell’ipotesi.
“Perché mi hai donato il tuo nome?” Era da tanto che voleva chiederglielo, da quando lo aveva scoperto per puro caso, leggendo dei documenti. Un tempo Arthur Rimbaud si chiamava Paul Verlaine. Gli aveva affidato una parte di sé e il biondo non sapeva davvero come interpretare quel gesto.
“Non ti piace?”
“Potresti rispondere alla mia domanda e non cercare di eluderla?” Arthur faceva sempre così. A volte lo trattava come un bambino.
“Quando ci siamo incontrati non avevi un nome, eri solo un numero. Quando ho saputo cosa ti aveva fatto il mio governo ne sono rimasto sconvolto. Fu in quello stesso giorno che mi dissero che avrei dovuto essere il tuo insegnante, che eri una risorsa preziosa. Mi dissero semplicemente di darti un nome in codice, così ti affidai il mio, in modo che lo custodissi per me”
“Quello che dici non ha molto senso”
“Forse per te non ce l’ha. Paul io ti ho sempre visto come un individuo non come un’arma. Per questo ti ho dato il mio nome”
“Gli affetti e l’amore sono punti deboli di una spia” Verlaine ricordava di aver sussurrato quelle parole senza rendersene conto. Arthur aveva risposto con un sorriso, scuotendo il capo.
“E’ stata una delle prime cose che mi hai insegnato” si era sentito in dovere di rispondere il biondo.
“Lo so”
“Sono il tuo punto debole Arthur?” Non sembrava una domanda ma quasi un’affermazione. Come se il biondo ne avesse la certezza.
“L’allievo ha superato il maestro. Penso che dopo questa missione non avrai più bisogno di me, della mia guida” sembrava triste, quasi malinconico mentre pronunciava quelle parole. Verlaine sbuffò
“Avrò sempre bisogno di te, come potrò fermarmi? Chi potrà fermarmi’?”
“No” Paul aveva osservato il compagno cercando in quelle parole un qualche significato nascosto. Non riusciva davvero a capire il comportamento di Rimbaud e la cosa lo innervosiva.
“Paul, sei già molto più potente e capace di me. Dopo il successo di quest’ultima missione dubito che ci permetteranno di lavorare ancora insieme. Siamo già un’eccezione, le spie di solito non collaborano”
“Perché è sbagliato se desidero lavorare con te?”
“Non è sbagliato, solo non penso sia possibile”
“Tu cosa vuoi?” Arthur lo aveva fissato confuso per qualche istante; erano anni che nessuno chiedeva la sua opinione. Da brava spia aveva sempre eseguito gli ordini, non aveva mai messo nulla in discussione; come invece amava fare Paul. Era una delle tante cose che ama di lui.
“Non sei forse libero di scegliere?” Quelle domande lo spiazzavano sempre. Verlaine aveva ragione. Non era libero di scegliere, in fondo non erano poi così diversi. Quando aveva accettato di lavorare per il proprio Paese aveva fatto dei sacrifici, solo ora se ne rendeva conto. Ora che aveva trovato qualcuno da proteggere, qualcuno da amare.
“Penso che molte volte sia meglio eseguire gli ordini e fare come ci è stato detto”
“Io non capisco”
“Non serve che tu lo faccia” forse era stata una risposta brusca ma voleva solo proteggerlo. Verlaine non gli rendeva mai le cose facili.
“Voglio capirti Arthur, perché delle volte non ci riesco ed è frustrante. Ti odio, ti odio davvero tanto” il moro non sembrava particolarmente sorpreso da quelle affermazioni.
“Vuoi davvero sapere cosa farei se avessi potere di scegliere?” Si era alzato dalla sedia, Verlaine aveva annuito e seguito ogni suo movimento.
Il bacio che si scambiarono fu lungo e intenso. Non era la prima volta che accadeva. Il più delle volte era proprio Arthur a cercare le sue labbra, si avvicinava lento e silenzioso come un predatore e lo inchiodava senza lasciargli alcuna via di scampo. Verlaine lo lasciava fare. Aveva capito che Rimbaud assumeva quel tipo di comportamento solo con lui. Andava bene così, non gli era mai piaciuto condividere le cose e Arthur era una sua proprietà. Era il suo partner, il suo compagno, il suo mentore. Era tutto per lui. Era grazie a lui se aveva imparato tante cose. Se aveva imparato a vivere. Avevano entrambi aperto il loro cuore a un sentimento sconosciuto che in qualche modo era sempre stato lì. Non avevano bisogno di interrogarsi troppo sul futuro, era il presente, ciò che stavano vivendo quello che contava.
Quella notte però era diverso, c’era una strana malinconia che accompagnava le azioni del moro.
“Questa missione è pericolosa. Potremmo anche non fare ritorno” Paul non aveva mai distolto il proprio sguardo da quelle iridi ambrate.
“Siamo spie è il nostro lavoro” fece notare a pochi centimetri dalle sue labbra. A volte era così difficile comprendere le decisioni che muovevano Arthur, le sue preoccupazioni. Quella missione sarebbe stata simile a quelle già affrontate; non capiva dove stesse il problema.
“In Giappone ci infiltreremo in una base di ricerca nemica. Qualcuno ha recuperato gli appunti del Fauno, del tuo creatore” fece una breve pausa in cui cercò il suo sguardo. Verlaine ascoltava in silenzio, in attesa di spiegazione;
“Dobbiamo recuperare quella che hanno definito essere un’arma. In realtà ha le sembianze di un ragazzino” il biondo non capì subito ciò che il proprio partner stava cercando di dirgli.
“Grazie agli appunti del Fauno hanno tentato di ricreare il suo progetto. Di creare un altro essere come te”
“Quel ragazzino è come me?” non ci poteva credere. Arthur annuì;
“E’ simile. Non so quanto siano arrivati vicino alla ricerca originale però dalle nostri fonti controlla la gravità esattamente come te”
Verlaine però non lo stava più ascoltando. C’era un altro essere simile a lui, qualcuno che avrebbe potuto comprenderlo, capire la sua solitudine, il suo dolore. Un altro essere artificiale che non si sarebbe mai sentito completamente umano. Erano pallide imitazioni di esseri che non sarebbero mai stati in grado di capirli. Guardò nuovamente il proprio partner, sembrava triste per lui. Tornò ad odiarlo. Non aveva bisogno di quella pietà.
“Paul dimmi qualcosa”
“Ho un fratello”
“Si possiamo anche definirlo in questo modo. Un fratello minore. La nostra missione è di portarlo al sicuro in Francia”
“Così crescerà come me?”
“E’ probabile, nel rapporto che mi hanno fornito non ci sono molti dettagli” Paul aveva annuito, prima di allontanarsi dal moro. Arthur lo afferrò;
“Stai bene?”
“Si” non era bravo a mentire. Soprattutto con il proprio partner;
“Se c’è qualcosa che ti turba lo sai, ne possiamo parlare. Io sono qui e ci sarò sempre per te. Voglio davvero aiutarti ma se ti chiudi non posso farlo” Sapeva quanto fosse difficile per il biondo aprire il proprio animo ma se c’era qualcuno in grado di compiere quell’impresa era solo Arthur.
Verlaine si arrese, tornando a sedersi vicino a lui;
“Ho scoperto che esiste qualcuno di simile a me. Un essere che finalmente potrà capire la mia solitudine, il mio dolore”
“Paul”
“Per quanto tu ci provi sai che non potrai mai comprendermi. Sei umano.” non era sua intenzione ma quelle parole lasciarono le sue labbra con un certo disprezzo. Arthur era umano. Era quella la differenza tra loro. Arthur aveva un’anima lui no. Era un insieme di calcoli e formule, complesse espressioni matematiche avevano codificato la sua mente, donandogli i propri poteri. Era solo un’imitazione, non era umano. Poteva fingere quanto voleva, quella realtà dei fatti non sarebbe mai cambiata.
Rimbaud come al solito però non aveva ascoltato quelle parole;
“Sono felice che tu abbia trovato qualcuno simile a te. Lo sono davvero” Odiava Arthur eppure quando faceva così non poteva che pensare il contrario. Voleva ucciderlo ma allo stesso tempo stringerlo a sé. Non capiva nemmeno lui l’assurdità di quei pensieri che solo la presenza del moro gli provocava.
“Resti con me questa notte?” Rimbaud aveva sorriso. Rimasero insieme per qualche ora dove ebbero modo di consumare la loro passione, poi il moro dovette fare ritorno nei propri appartamenti e presenziare all’ennesimo incontro prima della missione. Verlaine era ancora avvolto dalle coperte mentre osservava il proprio compagno intento a rivestirsi. Mancava qualche ora all’alba. Regnava un silenzio irreale, anche per la capitale parigina.
“Dopo questa missione cambierà qualcosa?” domandò in direzione del moro. Arthur lo fissò confuso;
“Cosa dovrebbe cambiare?”
“Magari ti affideranno l’educazione di mio fratello, così come ti hanno affidato la mia”
“Sei geloso?”
“Non so che significhi ma no. Voglio solo che tu sia mio” entrambi arrossirono distogliendo lo sguardo, comprendendo le implicazioni nascoste in quelle parole
“Lo sono già, mi sembrava di essere stato abbastanza esplicito questa notte o i quelle passate. Possiedi il mio cuore Paul, la mia anima, il mio nome, ti ho fatto dono di tutto”
“Perché? Io non lo merito. ”
“Sai benissimo il perché. Meriti di essere amato Paul. Sei una creatura meravigliosa e nessuno potrà mai essere come te. Non per me almeno. In più tuo fratello è un bambino”
“Un bambino?” nuovi pensieri scossero l’animo del biondo. Lui non ricordava nemmeno di essere stato un bambino, non ricordava molto dei suoi anni in laboratorio. La sua vita era letteralmente iniziata quando aveva stretto la mano di Arthur e incontrato il suo sguardo.
Forse era stato amore a prima vista, anche se non gli piaceva utilizzare quella parola. Implicava un significato strano forse troppo forte, anche se il legame che condivideva con il proprio partner lo era altrettanto.
“Affronteremo qualsiasi cosa ci riservi il futuro insieme” Arthur gli aveva sorriso prima di lasciargli un ultimo bacio.
Erano passati troppi anni da allora. Verlaine aveva deciso di fare ritorno in Giappone dopo aver ricevuto notizie di Chuuya. Era rimasto per lui, si era unito alla Port Mafia per vegliare su quel fratello così simile eppure tanto diverso da lui. Anche Chuuya aveva trovato una persona alla quale aprire il proprio cuore, il proprio animo. Sapeva che non avrebbe commesso i suoi stessi errori, avrebbe lottato per difendere quel tipo di sentimento.
Appoggiò una mano sulla lapide del proprio partner, sapeva che non vi era nessun corpo eppure nulla gli impediva di andare là, perdere qualche ora in compagnia del ricordo di quell’uomo che lo aveva salvato, in tutti i modi in cui una persona può essere salvata. Era amore ciò che lo aveva legato a Rimbaud, lo aveva solo scoperto troppo tardi.
“Ciao Arthur”