(Jujutsu Kaisen) - The Dawn of the Fall
Mar. 4th, 2025 03:10 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Cowt -14 Prima Settimana - M2 “The Dawn of the Fall”
Prompt: Sapeva già che sarebbe stato un disastro
Numero parole: 1550
Fandom: Jujutsu Kaisen
Note: Già prima della missione di Amanai Riko, Geto si trova a riflettere sulla giustizia presente nel loro mondo. La sua lenta discesa verso l’oscurità è iniziata prima del previsto.
Sapeva già che sarebbe stato un disastro
Era un pensiero ricorrente nella mente di Suguru Geto mentre avanzava per le vie deserte di Tokyo. Era tardi. Avrebbero dovuto concludere quella missione già da un’ora, ma qualcosa era andato storto. Irrimediabilmente.
“Ehi, ti sei nuovamente perso nei tuoi pensieri?”
La voce squillante di Satoru Gojo lo riportò alla realtà. L’amico gli camminava accanto con le mani infilate nelle tasche. Indossava il solito sorriso spavaldo che però, agli occhi di Suguru, quella volta apparì più teso del solito.
“Non ti sfugge nulla,” rispose il corvino con un tono più duro di quanto avesse desiderato.
La missione di quel giorno si era rivelata una delle peggiori alle quali avessero partecipato. Un gruppo di stregoni aveva tentato di sopprimere una maledizione di livello speciale in una zona residenziale. Al loro arrivo però l’intero quartiere era già stato distrutto. Un vero massacro. Nessun sopravvissuto. I resti delle maledizioni che avevano divorato gli abitanti erano ancora nell’aria e il fetore della morte impregnava ogni cosa.
“Abbiamo fatto il possibile,” sussurrò Gojo, intuendo i suoi pensieri.
Suguru si fermò sotto un’insegna tremolante di un vecchio negozio chiuso. Strinse i pugni.
“Non è abbastanza,” sibilò. “Non lo è mai.”
Satoru lo fissò in silenzio. Anche lui lo sapeva. Erano ancora studenti, nonostante la loro forza superasse già di gran lunga quella della maggior parte degli stregoni in circolazione. Eppure, quella volta, non erano stati in grado di salvare nessuno.
“Non siamo dei Suguru."
“Ma tu si, vero?”
Era un’affermazione, più che una domanda. E Gojo, per la prima volta, non seppe come rispondere.
Forse fu proprio quello l’istante in cui tutto aveva cominciato a incrinarsi. Forse, se Satoru avesse detto qualcosa di diverso, se avesse trovato le parole giuste, le cose avrebbero potuto prendere una piega differente.
Per il più forte quello sarebbe rimasto uno dei propri maggiori rimpianti.
***
Il giorno dopo
L’alba filtrava attraverso le tende della stanza di Suguru quando qualcuno bussò alla porta.
“Sei sveglio?”
Gojo.
Geto non rispose subito. Si passò una mano sul viso, cercando di scacciare il torpore di una notte passata insonne, solo dopo qualche minuto si decise ad aprire.
Satoru lo scrutò, attraverso le lenti dei propri occhiali da sole che indossava nonostante fossero appena le sei del mattino.
“Vieni. Ti porto a fare colazione.”
Suguru lo guardò con aria scettica.
“Non ho fame.”
“Non mi interessa,” replicò Gojo esibendo un sorriso sfacciato. “Forza, muoviti.”
Senza attendere risposta, lo afferrò per un polso e lo trascinò fuori dalla stanza. Il compagno sbuffò tuttavia non oppose resistenza.
Uscirono dall’istituto e camminarono lungo le strade di Tokyo, ancora semideserte a quell’ora. L’aria era fresca e il cielo si stava tingendo di sfumature arancioni e rosa.
Si fermarono in una piccola caffetteria. Gojo ordinò due tazze di caffè e qualche dolce, senza nemmeno domandare a Suguru cosa volesse.
“Che vuoi?” sbottò alla fine Geto, appoggiandosi al tavolo con un’espressione scocciata.
Gojo prese un sorso di caffè prima di rispondere.
“Voglio che ne parli con me.”
“Di cosa?”
“Di quello che sta succedendo”
Suguru rimase in silenzio prima di distogliere lo sguardo.
“Non puoi capire.”
“Forse no,” ammise Gojo,
“Ma se non mi dici niente, come posso provarci?”
Suguru abbassò lo sguardo sulla propria tazza, osservando il fumo che si sollevava dalla superficie scura.
Era vero, Satoru non poteva capire. Lui era sempre stato forte, fin troppo. Per lui il mondo era semplice: proteggeva chi doveva proteggere e sconfiggeva chi doveva essere sconfitto. Ma Suguru vedeva le sfumature, il sistema marcio in cui erano intrappolati.
“Dimmi una cosa” sussurrò infine, sollevando lo sguardo. “Se potessi scegliere, tra salvare le persone o distruggere la fonte di tutto questo dolore… tu cosa faresti?”
Gojo lo fissò, confuso.
“Non capisco la domanda.”
“Sì che la capisci,” insistette Geto.
“Noi passiamo le giornate a inseguire maledizioni, ma queste non nascono dal nulla. Sono generate dagli esseri umani. Dalla loro paura, dal loro odio.”
Gojo si prese qualche minuto per riflettere.
“Dove vuoi arrivare, Suguru?” gli sfuggiva il senso di tale conversazione.
Geto si accomodò meglio, incrociando le braccia.
“Sto solo dicendo che forse ci stiamo concentrando sulla cosa sbagliata.”
Gojo non rispose subito. E per la prima volta da quando si conoscevano, Suguru vide qualcosa nei suoi occhi, qualcosa che assomigliava a un’ombra di timore. Ed era rivolto a lui.
Non si era mai sentito tanto distante da Satoru come in quel momento.
Lo guardava, osservava ogni sfumatura della sua espressione, ogni piccola tensione nel suo viso. Gojo era sempre stato un libro aperto per lui, eppure adesso appariva chiuso, ermetico.
Forse perché per la prima volta nella loro vita, Suguru aveva detto qualcosa che Satoru non voleva ascoltare.
“Tu pensi davvero che il problema siano le persone?”
Gojo parlò piano, senza il solito tono scherzoso. Sembrava voler pesare ogni parola.
Suguru abbassò leggermente le palpebre, riflettendo sulla domanda.
“Penso che il problema sia il ciclo in cui siamo intrappolati. I non stregoni generano maledizioni, noi le eliminiamo e il mondo va avanti come se nulla fosse. Non vi è mai una fine, Satoru”
Gojo tamburellò le dita sul tavolo, senza smettere di fissarlo.
“E cosa proponi per cambiare le cose?”
Suguru lo sapeva. Non era una risposta che aveva trovato quella notte, o durante l’ultima missione. Era un qualcosa che gli si annidava nel cuore da tempo, una consapevolezza profonda, oscura.
Ma non poteva dirlo. Non ancora.
“Non lo so.”
Gojo inarcò un sopracciglio, come se non gli credesse del tutto. Poi, con un sospiro, si tolse gli occhiali da sole e si massaggiò le tempie.
“Sai cosa penso, Suguru? Credo che tu stia cercando di portarti addosso il peso di tutto questo mondo. Ma non puoi.” Non da solo
Suguru gli sorrise.
“E tu no?”
Gojo rimase in silenzio.
Era quello il punto. Loro due erano forti, più di chiunque altro. Ma mentre Satoru accettava il peso di quella forza con una spavalderia quasi naturale, Suguru sentiva la propria gravare su di lui, giorno dopo giorno.
Più diventava forte e più si rendeva conto che il mondo intorno a lui non cambiava.
Più eliminava maledizioni, più innocenti morivano.
Più proteggeva, più si rendeva conto di quanto fosse inutile salvare chi, alla fine, sarebbe diventato la causa di nuove maledizioni.
Era come tentare di svuotare il mare con un cucchiaio.
“Forse dovremmo solo smettere di pensarci,” sussurrò Gojo, incrociando le braccia dietro la testa. “Alla fine, siamo solo due ragazzi.”
Suguru scosse il capo.
“Tu puoi permettertelo, Satoru.”
“E tu no?”
Suguru preferì non rispondere.
Lui e Gojo erano uguali, erano i più forti. Ma vi era una sostanziale differenza fra loro.
Satoru era nato per essere il migliore. Quando sei invincibile, il mondo resta un gioco, un qualcosa da affrontare con sicurezza, leggerezza.
Suguru, invece, rimaneva uno spettatore. Osservava ogni ingiustizia, sofferenza, dolore.
E più il tempo passava, più si convinceva di una cosa.
Gojo sarebbe sempre stato abbastanza forte da ignorare il peso del mondo.
Ma lui, no.
Nei giorni successivi, Suguru provò a scrollarsi di dosso quel senso di inquietudine. Si immerse negli allenamenti, nelle missioni, nelle serate passate con Shoko e Satoru a ridere e scherzare. Ma non funzionava.
Quel peso era sempre lì.
Si sentiva sempre più distante da Gojo. Non perché lo volesse, ma perché giorno dopo giorno, il divario fra la loro forza aumentava.
Satoru Gojo era nato per vincere. Poteva abbattere qualsiasi nemico, schiacciare ogni ostacolo con facilità. Ma Suguru?
Lui era nato per perdere.
Non nel senso fisico – no, lui era forte, tra i più forti. Ma nella battaglia più grande, quella contro il mondo stesso, lui sapeva già uscirne sconfitto.
Era questo che Gojo non avrebbe mai potuto capire.
Per lui, tutto si risolveva con la forza. Se sei abbastanza potente, nessuno può farti del male. Nessuno può sfiiorarti.
Ma Suguru sapeva che non era tanto semplice.
Anche lui era forte, sì. Ma la sua forza non aveva impedito a quella gente di morire, il sistema rimaneva marcio e il mondo continuava a produrre maledizioni senza fine.
E allora, a cosa serviva davvero essere forti?
Una sera, di ritorno dall’ennesima missione, Suguru e Gojo camminavano fianco a fianco lungo un sentiero alberato della Jujutsu High. L’aria era fresca, le cicale frinivano nel silenzio.
“Shoko dice che ultimamente ti stai facendo troppe paranoie,” esordì Gojo all’improvviso, rompendo la quiete.
Suguru alzò un sopracciglio.
“Davvero?”
“Sì. Ha detto che le sembri distante, come se stessi sprofondando in un tunnel senza uscita.”
“E tu cosa pensi?”
Gojo rispose con un’alzata di spalle
“Credo che dovresti smetterla di porti domande alle quali non c’è risposta.”
Suguru si fermò.
Satoru fece ancora un paio di passi prima di accorgersene e voltarsi verso di lui.
“Suguru?” lo chiamò incerto,
Geto lo guardò, con uno sguardo che il più forte non riuscì a decifrare del tutto.
“E se ci fosse una risposta?”
Il compagno incrociò le braccia, inclinandosi leggermente in avanti.
“E quale sarebbe?”
Suguru abbassò lo sguardo, poi scosse la testa e riprese a camminare.
“Lascia perdere.”
Gojo lo seguì, senza insistere.
Ma quella sera, mentre si sdraiava sul letto e fissava il soffitto, sapeva di aver visto qualcosa di diverso negli occhi di Suguru.
Non solo stanchezza, frustrazione ma qualcosa di più profondo, pericoloso.