Cowt-12 - Quarta Settimana – M3 APERTOFandom: Bungo Stray Dogs
Raiting: SAFE
Numero Parole: 1738
“Vale la pena festeggiare la tua nascita”
Le parole di Arthur continuavano a rimbombargli nella mente con insistenza, soprattutto in quel giorno, quello che il suo partner aveva scelto per festeggiare il suo compleanno. Erano passati quattro anni da quando Verlaine aveva sconfitto il Fauno e riacquistato la propria libertà, quattro anni da quando era “nato”. Ne erano passati altrettanti da quando aveva perso anche Arthur. Pensare al suo partner faceva ancora male e riportava alla mente altre stranissime sensazioni sulle quali l’assassino non voleva soffermarsi troppo o indagare. Era l’ordine naturale delle cose, gli esseri umani vivono e muoiono. Non ci si poteva fare nulla.
Tuttavia, quel giorno particolare, non poteva evitare di pensare a quando, tanti anni prima, Arthur aveva cercato di spiegargli che senso avesse celebrare il proprio compleanno. Allora Paul non era certo di aver capito, ma si era lasciato comunque trascinare dal compagno, dal suo strano modo di fare, da quei regali. All’inizio aveva mantenuto un atteggiamento sospettoso, per poi tranquillizzarsi. Aveva capito cosa Arthur stesse tentando di fare, come anche il senso di quel regalo, quel cappello che ora continuava a rigirarsi tra le mani come il più prezioso dei tesori. Più lo guardava e più si trovava a sospirare. Rimbaud voleva renderlo umano e lui voleva esserlo. Se avesse messo per sempre a tacere quel mostro dentro di se’ forse avrebbero potuto anche essere felici. A Verlaine piaceva illudersi, sapeva che non sarebbe durata. Lo sapeva dal primo momento in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli di Arthur, in quel laboratorio.
Non potevano stare insieme, non avevano futuro. Lui era un essere artificiale mentre Rimbaud era, lui era...
Sebbene fossero passati anni dalla sua morte Verlaine non sapeva ancora come descrivere il suo rapporto con il moro. Erano stati partner, compagni, amici, amanti, ogni parola sembrava stonare in qualche modo; forse perché certi legami non possono essere racchiusi in una misera definizione. Loro erano un qualcosa, un qualcosa che non sarebbe mai dovuto esistere. Rimbaud sosteneva che vi era un legame tra i loro cuori. Paul come sempre ci aveva creduto, come lo aveva fatto con ogni parola che aveva lasciato le labbra dell’altro. D’altronde non aveva motivo di dubitare.
Arthur gli aveva insegnato ad essere umano, e se fosse stato possibile, Paul lo sarebbe diventato per lui. Purtroppo, molto spesso la realtà e i desideri non coincidono.
Ripensare a quel unico compleanno festeggiato insieme faceva insolitamente male. Era una sensazione che Verlaine non aveva mai provato, ma non era dissimile al fastidio che provava quando vedeva insieme Dazai e Chuuya. Era una sorta di morsa che gli attanagliava lo stomaco e non sembrava intenzionata a dargli tregua.
Arthur Rimbaud non era come lui. Non lo era mai stato. Gli aveva donato il suo nome e Paul gli aveva affidato il suo cuore. Non era bastato. Non era stato sufficiente. Aprire il proprio animo faceva male, lo aveva imparato a proprie spese.
Ora, senza di lui, tutto sembrava così difficile. Rimbaud era stato a lungo la sua guida, il suo punto di riferimento. Quanto lo aveva odiato e quanto lo odiava ancora.
Quello era solo un giorno come un altro, eppure ogni cosa lo riportava con la mente a quell’unico compleanno festeggiato con Arthur. Erano ancora a Parigi. Era quella parentesi della sua esistenza che Verlaine aveva catalogato sotto l’aggettivo felice. Forse non conosceva appieno neppure quel sentimento, però, pensando a quel periodo non riusciva a definirlo se non in quel modo.
Quel giorno, Arthur si era presentato nel suo nascondiglio con un budino e del vino sottobraccio. All’inizio Verlaine si era limitato a fissarlo. Non riusciva davvero a capire perché gli umani volessero tanto festeggiare il giorno in cui erano venuti al mondo. Anche a distanza di tanti anni però, poteva ricordare perfettamente il dolce sorriso sul viso di Arthur mentre gli spiegava quel concetto a lui sconosciuto, porgendogli sul capo quella bombetta creata appositamente per lui.
“Indossandola potrai obbedire solo alla tua volontà” aveva concluso Rimbaud versandogli un bicchiere di vino e cercando accuratamente di evitare il suo sguardo. Paul lo aveva trovato adorabile, come il leggero rossore che gli aveva colorato le guance. Così aveva allungato una mano, non per prendere il vino, ma per afferrare quella del altro. Arthur non si era sottratto a quel tocco gentile. Si era voltato ed erano restati qualche secondo a guardarsi. Specchiandosi l’uno negli occhi dell’altro.
Verlaine era tranquillo. Non provava nessuna particolare emozione. In quel momento aveva solo voglia di toccare Arthur. Forse non aveva ancora ben compreso tutta la faccenda del compleanno e del ricevere regali ma la visita e la compagnia del moro gli avevano fatto piacere. Uno strano calore si era formato dentro di lui
“Cosa bisogna dire in questo caso?” Ricordava di aver chiesto con una punta d’incertezza. In fondo era pur sempre il suo primo compleanno. Arthur aveva sorriso per poi lasciare la sua presa e passargli il vino.
“Non c’è una risposta giusta o una sbagliata. Di solito si ringraziano gli ospiti per i regali. Ti sono piaciuti?” Erano calato nuovamente il silenzio ed erano tornati a fissarsi. Arthur aveva paura di una sua risposta negativa. Lo stava studiando, stava cercando di capire se la sua idea gli fosse piaciuta o meno.
Verlaine aveva bisogno di tempo per rispondere. Effettivamente il budino che gli aveva offerto era buono e pure la bombetta sembrava utile. Arthur però interpretò questo suo silenzio in altro modo.
“Non importa ora sarà meglio che vada”
Verlaine lo guardava più confuso di prima. Non gli sembrava di aver fatto qualcosa di sbagliato.
“Resta” quelle parole uscirono dalla sua bocca con una facilità disarmante. Non voleva restare solo, voleva che Arthur restasse un altro po’. Tutto qui.
“Non abbiamo ancora finito il vino” aggiunse come se servisse un’ulteriore spiegazione.
Arthur lo fissò di sottecchi ma si rimise a sedere versando altri due bicchieri.
“Ti piace bere” disse dopo un po’. Era più che altro una constatazione. Verlaine fece spallucce.
“Sono francese” entrambi sorrisero.
Restarono così per qualche minuto bevendo in silenzio. Fu il biondo a rompere quella situazione di stallo;
“Grazie. Questo compleanno è stato interessante”
“Interessante?”
“Si. Penso che possa essere considerato l’ennesimo passo verso la mia ricerca di umanità”
“Tu sei un essere umano Paul” Arthur lo diceva sempre con una tale convinzione, come se ci credesse davvero. Era Verlaine però il primo a dubitare della sua stessa natura. Forse perché conscio della bestia che nascondeva sotto la sua pelle, quel potere che se non tenuto sotto controllo avrebbe portato solo morte e distruzione. Odiava profondamente Arthur ma allo stesso tempo non avrebbe mai voluto ferirlo.
“Perché fai questo per me?” Aveva invece domandato. Tante cose del comportamento della spia non gli erano del tutto chiare.
“Non lo so, forse perché desidero solo che tu sia libero”
“Perché mi hai donato il tuo nome?” Era da tanto che voleva chiederglielo, da quando lo aveva scoperto per puro caso, leggendo dei documenti.
“Non ti piace?”
“Potresti rispondere alla mia domanda e non cercare di eluderla?”
“Quando ci siamo incontrati non avevi un nome, eri solo un numero. Quando ho saputo cosa ti aveva fatto il mio governo ne sono rimasto sconvolto. Fu in quello stesso giorno che mi dissero che avrei dovuto essere il tuo insegnante, che eri una risorsa preziosa. Mi dissero semplicemente di darti un nome in codice, così ti affidai il mio, in modo che lo custodissi per me”
“Quello che dici non ha molto senso”
“Forse per te non ce l’ha. Paul io ti ho sempre visto come un individuo non come un’arma. Per questo ti ho dato il mio nome”
“Gli affetti e l’amore sono punti deboli di una spia” Verlaine ricordava di aver sussurrato quelle parole senza rendersene conto. Arthur aveva risposto con un sorriso.
“E’ stata una delle prime cose che mi hai insegnato” si era sentito in dovere di rispondere il biondo.
“Lo so”
“Sono il tuo punto debole Arthur?” Non sembrava una domanda ma quasi un’affermazione.
“L’allievo ha superato il maestro. Penso che dopo questa missione non avrai più bisogno d me, della mia guida”
“Avrò sempre bisogno di te, come potrò fermarmi? Chi potrà fermarmi’?”
“No” Paul aveva osservato il compagno cercando in quelle parole un qualche significato nascosto. Non riusciva davvero a capire il comportamento di Rimbaud e la cosa lo innervosiva.
“Paul, sei già molto più potente e capace di me. Dopo il successo di quest’ultima missione dubito che ci permetteranno di lavorare ancora insieme. Siamo già un’eccezione, le spie di solito non collaborano”
“Perché è sbagliato se desidero lavorare con te?”
“Non è sbagliato, solo non penso sia possibile”
“Tu cosa vuoi?” Arthur lo aveva fissato confuso per qualche istante; erano anni che nessuno chiedeva la sua opinione. Da brava spia aveva sempre eseguito gli ordini, non aveva mai messo nulla in discussione; come invece amava fare Paul.
“Non sei forse libero di scegliere?” Quelle domande lo spiazzavano sempre. Verlaine aveva ragione. Non era libero di scegliere, in fondo non erano poi così diversi.
“Penso che molte volte sia meglio eseguire gli ordini e fare come ci è stato detto”
“Io non capisco”
“Non serve che tu lo faccia”
“Voglio capirti Arthur, perché delle volte non ci riesco ed è frustrante. Ti odio, ti odio davvero tanto” il moro non sembrava particolarmente sorpreso da quelle affermazioni.
“Vuoi davvero sapere cosa farei se avessi potere di scegliere?” Si era alzato dalla sedia, Verlaine aveva annuito e seguito ogni suo movimento.
Il bacio che si scambiarono fu lungo e intenso. Non era la prima volta che accadeva. Il più delle volte era proprio Arthur a cercare le sue labbra, si avvicinava lento e silenzioso come un predatore e lo inchiodava senza lasciargli alcuna via di scampo. Verlaine lo lasciava fare. Aveva capito che Rimbaud assumeva quel tipo di comportamento solo con lui. Andava bene così, non gli era mai piaciuto condividere le cose e Arthur era una sua proprietà. Era il suo partner, il suo compagno, il suo mentore. Era tutto per lui. Era grazie a lui se aveva imparato tante cose. Se aveva imparato a vivere. Avevano entrambi aperto il loro cuore a un sentimento sconosciuto che in qualche modo era sempre stato lì. Non avevano bisogno di interrogarsi troppo sul futuro, era il presente, ciò che stavano vivendo quello che contava.