(Bungo Stray Dogs) - Cauchemar
Mar. 24th, 2022 08:33 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Cow-t 12 – Quinta settimana – M2
Prompt: “E alla fine, niente lieto fine”
Fandom: Bungou Stray Dogs
Rating: SAFE (angst sempre)
Numero Parole: 3814
Note: Verlaine con la complicità di Baudelaire vuole utilizzare un’Abilità per riportare in vita Rimbaud. Ovviamente non è possibile. Storia di un incubo.
Era da poco sorta l’alba dopo una notte in cui era letteralmente successo di tutto. I tre uomini erano appena arrivati ad una base sicura. Quello però non era stato altro che l’inizio.
«È impossibile salvarlo» le parole pronunciate da Lewis furono come una doccia fredda. Nemmeno una frazione di secondo dopo, Verlaine aveva allungato entrambe le braccia con il chiaro intento di soffocare quel ciarlatano e successivamente anche il proprio complice.
Il Re degli Assassini aveva appena fatto evadere dalla prigione di massima sicurezza di Meursault l’unico dotato con l’Abilità di salvare Arthur che ora gli veniva a raccontare come non fosse possibile. Baudelaire avrebbe pagato con la vita la propria menzogna. Il biondo aveva odiato quel moccioso francese sin dal loro primo incontro, ma aveva deciso di fare buon viso a cattivo gioco. Charles Baudelaire sembrava intenzionato a salvare Rimbaud tanto quanto lui, questo era l’unico motivo che lo aveva tenuto in vita fino a quel momento. Continuò a fissare la figura del uomo che aveva liberato, si stava godendo una sigaretta mentre fissava il mare.
«Je suis désolé» aveva risposto con un orrendo accento inglese, storpiando ogni parola;
«La mia Ability non mi permette di riportare in vita i morti. Niente può farlo» aveva spiegato alzando le braccia. Verlaine aveva serrato i pugni cercando di fare il possibile per contenere la propria ira per non uccidere l’uomo all’istante. Inaspettatamente fu Baudelaire a parlare;
«Lo so benissimo Lewis ma puoi sempre aggirare il problema giusto?» entrambi i presenti si voltarono verso di lui.
«Spiegati meglio» gli intimò l’ex spia. Charles sorrise divertito. Aveva Verlaine in pugno, la possibilità di riportare indietro il compagno lo aveva reso debole, e lui non si sarebbe lasciato sfuggire una tale possibilità. Avrebbe potuto consegnare il famoso assassino al proprio Governo e finalmente riavere Arthur nella sua vita. Doveva giocare bene le proprie carte per assicurarsi il successo del proprio piano. Era diventato suo malgrado un Poète Maudit, una spia, stava solo facendo ciò che gli riusciva meglio, ingannare. La morte di Arthur Rimbaud aveva scosso più di una persona, Charles stava semplicemente cercando un modo per sopravvivere a quel dolore. Non aveva mai dimenticato il tempo trascorso insieme, per lui quel ragazzino dai capelli corvini sarebbe sempre stato Paul. Non l’assassino che aveva davanti agli occhi e al quale era stato proprio l’amico a dare un nome.
«L’Abilità di Carroll si chiama Wonderland. Grazie a questa può realizzare un desiderio, creando una sorta di realtà fittizia» iniziò a spiegare; Verlaine come sempre storse il naso.
«E quanto durerebbe l’effetto di questa Abilità?» domandò sempre più scettico.
Questa volta fu direttamente Lewis a rispondere;
«Posso impostare la durata a mio piacimento. Ho ancora parecchia gente a Londra abbandonata nelle proprie fantasie. Uno spettacolo meraviglioso» ammise divertito;
«Hai un potere pericoloso» l’uomo alzò le spalle con noncuranza;
«Un tempo lavoravo per la Torre dell’Orologio. So che hai ucciso un paio di miei ex colleghi. Tranquillo non sono tipo da portare rancore. Quegli idioti credevano che questa Abilità mi avesse dato alla testa e che vivessi io stesso in una delle mie fantasie, solo perché avevo proposto durante il tè delle cinque di tagliare la testa alla regina» Verlaine osservò Baudelaire che gli fece segno di tacere.
«L’Inghilterra non ha bisogno di un sovrano. Tutto qua. Ho tentato un regicidio e mi hanno fermato. È stata quella dannata donna. Se mai un giorno tornerò a Londra sarà per la sua di testa»
«Agatha Cristie» spiegò Baudelaire. Non che ve ne fosse bisogno, Verlaine conosceva bene la fama dell’unica donna ai vertici dell’Organizzazione inglese, quanto della sua pericolosità. Non si era mai scontrato direttamente con lei ma qualcosa gli suggeriva come fosse meglio evitare qualsiasi coinvolgimento.
«Quindi» iniziò il biondo dopo qualche secondo speso in silenzio «Potresti condurmi in un mondo dove Arthur sia ancora vivo?» l’uomo annuì sorridendo;
«Posso creare il tuo mondo ideale sì»
C’era qualcosa che però ancora non convinceva l’ex spia francese;
«Come potrei fare ritorno alla realtà. Nel caso qualcosa vada storto» Fu il turno di Baudelaire di storcere il naso. Non sarebbe stato facile sbarazzarsi di quel dannato mostro. Lewis però non sembrò preoccuparsi di nulla. Probabilmente non si rendeva nemmeno conto di quanto la sua stessa vita potesse essere in pericolo in quel momento.
«Per rompere l’incanto basta che ti svegli» spiegò semplicemente;
«La mia Abilità ti farà cadere in un sonno profondo. Quando vorrai tornare in questo mondo basterà solo che tu apra gli occhi»
«Non è facile uscire dai propri sogni» ammise Verlaine. Lewis sorrise come un un predatore intento ad osservare la propria vittima. Al biondo quell’atteggiamento non piacque per nulla, era un’espressione che conosceva fin troppo bene.
«Finire in una realtà dove anche il più assurdo desiderio possa essere realizzato e desiderare di andarsene. Non mi è mai successo. Gli esseri umani sono soliti fuggire da questo mondo, ed è ciò che io offro loro, una via di fuga. Un posto sicuro dove scappare. Chi mai vorrebbe continuare a vivere nella sofferenza, nel dolore, quando posso regalare loro dei bellissimi sogni»
Verlaine era combattuto. Aveva la possibilità di riavere Arthur. Anche se si trattava di un semplice sogno avrebbe potuto rivedere il compagno, scusarsi con lui. Riprendere da dove si erano lasciati.
«Attento a ciò che desideri» furono le successive parole di Carroll che lo strapparono nuovamente dai propri pensieri;
«Gli uomini spesso finiscono con il diventare schiavi dei propri desideri» fu il turno di Verlaine di sorridere;
«Io non sono un uomo, e non sono un essere umano»
Baudelaire trasalì. A volte si dimenticava della bestia che aveva davanti agli occhi, del pericoloso Black No.12 un mostro creato in laboratorio per seminare morte e distruzione.
Come aveva potuto un simile essere arrivare a possedere il cuore di Arthur?
***
Delle volte gli era capitato di sognare. All’inizio era stata una sensazione strana, Verlaine non sapeva nemmeno di esserne in grado. Ricordava di essersi svegliato nel cuore della notte ed aver urlato, spaventando il compagno che dormiva nella stanza a fianco e che si era subito precipitato in suo aiuto.
«Hai semplicemente fatto un brutto sogno Paul» Era stata la semplice spiegazione di Arthur mentre con una mano gli massaggiava la schiena cercando di calmarlo;
«Un incubo» il biondo lo aveva guardato spaesato per una frazione di secondo interrogandosi su quelle parole. Lui era un’anima artificiale, come poteva sognare? Era una cosa propria degli esseri umani.
Arthur gli aveva sorriso, come sempre, e lo aveva guardato come un genitore fa con il proprio figlio. Aveva odiato questo suo atteggiamento, eppure, gli mancava. Dopo aver provato sulla propria pelle la sensazione data dalla perdita di una persona cara aveva dovuto rivedere molte delle proprie convinzioni. Quanto avrebbe desiderato in quei giorni avere la presenza del moro accanto. Rivedere quello sguardo paziente, sentire le sue parole, i suoi incoraggiamenti.
I mostri non sognano. Non hanno incubi.
Non sapeva se fossero i suoi pensieri o il risultato dato dal codice scritto nella propria coscienza a parlare.
Dopo la morte di Rimbaud però questi episodi erano aumentati. Per questo l’Abilità di Carroll non gli piaceva. Una parte di Verlaine sospettava che il proprio inconscio avrebbe finito per tramutare anche quel mondo ideale in un incubo.
Ma esattamente, quale sarebbe stato il suo mondo ideale? Ovviamente uno nel quale Arthur sopravviveva ma a che prezzo? Non era importante, avrebbe sacrificato ogni cosa per riavere il proprio compagno.
***
Paris est toujours Paris
La capitale francese era bellissima in qualsiasi periodo dell’anno e in qualsiasi stagione. Verlaine ricordava come ad Arthur piacesse in particolare l’estate. Il proprio compagno non aveva mai amato il gelo e il grigiore portati dalle giornate invernali. Paul non avrebbe saputo dire quale fosse la propria stagione preferita. Ogni mese portava in sé grandi e piccoli cambiamenti che gli facevano apprezzare questo o quel dettaglio della città. Aver passato i primi anni della propria esistenza in un laboratorio gli aveva permesso di apprezzare ogni più piccolo aspetto della vita all’aria aperta. Dal semplice passeggiare per gli Champs Elysées al sorseggiare un bicchiere di vino in uno dei numerosi Café.
Aveva scoperto quel mondo grazie ad Arthur, era stato lui a mostrarglielo. Rimbaud aveva tentato con tutte le sue forze di renderlo umano, di fargli apprezzare quell’esistenza che non credeva di meritare.
C’era il sole quella mattina. L’aria era primaverile. I primi fiori avevano iniziato a sbocciare colorando la collina di Montmartre. Gli artisti erano tornati a popolare le strade regalando ai turisti lo spettacolo dei propri disegni.
Parigi era il cuore della Francia e Paul Verlaine ne era assolutamente d’accordo.
Non ricordava perché stesse camminando per le vie della capitale, forse aveva un appuntamento con Arthur. Si, ora ricordava. Dovevano vedersi e parlare dell’ennesimo incarico che i loro superiori gli avrebbero affidato.
Si sedette al tavolo del solito Cafè. In quei mesi trascorsi nella capitale era diventato un cliente abituale tanto che i camerieri si ricordavano di lui. Aveva ricevuto pure un tovagliolo profumato con un numero di cellulare. Quel giorno Arthur aveva sorriso, spiegandogli come fosse un modo della cameriera per provarci con lui.
«Io non sono umano. Perché dovrei piacerle?»
Rimbaud aveva scosso la testa prima di regalargli l’ennesima occhiata comprensiva; un leggero velo di malinconia ad attraversagli lo sguardo.
«Perché sei bellissimo» poi aveva chinato il capo, « Il Fauno ti ha reso un bellissimo demone tentatore. Per gli standard umani sei molto attraente»
«Anche tu» aveva risposto immediatamente e il moro si era quasi strozzato con il vino;
«Paul» aveva iniziato con il solito tono pacato «Non sei ancora in grado di capire queste cose» e lui come sempre lo aveva odiato. Aveva sempre trovato Arthur bello o comunque diverso dal resto degli umani con i quali aveva avuto a che fare da quando era stato liberato. Perché il compagno non lo capiva? Era inutile, per quanto Rimbaud avesse cercato di occuparsi di lui non avrebbe mai compreso la solitudine che si celava nel proprio animo. Arthur era un essere umano, lui no. Quella realtà non sarebbe mai cambiata.
Nel frattempo era arrivato al Cafè dove la cameriera invaghita di lui lo aveva fatto accomodare. Ogni cosa lo riportava con la mente ad Arthur. Attese un paio di minuti prima di riconoscere la sua figura comparire all’orizzonte.
La spia non disse nulla accomodandosi nella sedia accanto ed ordinando a sua volta del vino;
«Allora come è andata la riunione?» Arthur si era levato sciarpa e cappotto, massaggiandosi le tempie;
«L’Europa è sull’orlo di una guerra» ammise incrociando le braccia al petto, osservando il bicchiere davanti a lui.
«Quale sarà il nostro compito?»
«Servire il nostro Paese» Paul aveva arricciato il naso;
«Io sono un’arma creata per situazioni come questa. Dimmi cosa mi chiedono di fare»
«Non dovrai fare nulla. Non possono permettersi che un dotato potente come te scenda sul campo di battaglia»
«Mi state proteggendo o forse nascondendo?»
«Entrambi. Qualcuno ti aveva proposto per la prima linea ma mi sono fermamente opposto. Siamo spie, agiamo nell’ombra»
«Hai paura che non sappia controllare la bestia dentro di me?»
Arthur aveva preso un lungo respiro, prima di prendere il bicchiere tra le proprie mani. Aveva osservato a lungo la figura del proprio partner prima di rispondere; quel profilo perfetto, come il volto leggermente imbronciato.
«Ho la massima fiducia in te Paul. Sono i miei superiori a preoccuparmi. Per non parlare del fatto che non sappiamo ancora il numero delle nazioni coinvolte»
«Possiamo vincere?» Arthur aveva scosso la testa;
«Dopo questo scontro niente sarà più come prima»
«Che altro c’è?» Perché non poteva esserci solo quello, l’espressione sul viso di Rimbaud parlava per lui. Gli stava nascondendo qualcosa e Verlaine era diventato troppo abile nel smascherarlo.
«Parto domani mattina per la Germania» il biondo non comprese subito il significato di quelle parole. Fissò l’uomo davanti a lui prendere l’ennesimo sorso di vino.
«Io» iniziò a dire ma venne subito fermato,
«Tu devi restare qui. Parigi è ancora una città sicura»
«Come puoi andare in guerra e lasciarmi qui?»
«Da quando ho bisogno del tuo permesso per fare qualcosa? È una missione Paul non fare il bambino. Siamo uomini del Governo, eseguiamo gli ordini che ci vengono dati che ci piaccia o meno»
«Come quando hai rinunciato al tuo nome o a Charles?» era un colpo basso ma le parole di Arthur lo avevano ferito. Quello era il solo modo che conosceva per vendicarsi.
Rimbaud non si scompose rimase in silenzio. Verlaine però non aveva nessuna intenzione di arrendersi;
«Portami con te. Sono una tua responsabilità»
«Hai un incarico da svolgere» gli fece notare, allungando un braccio per sistemargli meglio una ciocca ribelle di capelli intorno all’orecchio.
Verlaine si scostò da quel tocco infastidito. Era inutile, Arthur non poteva comprenderlo. Nessuno avrebbe mai potuto. Era solo al mondo.
Finirono di consumare le proprie bevande e lasciarono il Café.
Rimbaud partì la mattina seguente per Berlino. Lui rimase nella capitale francese.
Inaspettatamente però la guerra arrivò a Parigi. I bombardamenti si facevano di giorno in giorno più frequenti. Della città che Paul tanto aveva amato restava solo un pallido ricordo.
Erano mesi che non riceveva notizie da parte di Arthur. Non sapeva nemmeno se fosse ancora vivo. Una parte del suo animo si rifiutava fermamente di credere il contrario. Era una spia in gamba, l’uomo che gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva. Era impensabile che fosse morto così, su un anonimo campo di battaglia.
Si rividero nel bel mezzo dell’ennesimo bombardamento, come se si fosse trattato di un film. Rimbaud stava cercando di utilizzare la propria Abilità per riparare dei civili. Verlaine occupato a fare altrettanto aveva notato in lontananza dei raggi rossi. Li avrebbe riconosciuti fra mille, come il loro possessore.
Arthur era esattamente come ricordava, i capelli corvini sempre più lunghi e mossi da una leggera brezza, l’immancabile cappotto sulle spalle. Gli era mancato. Fra tutti gli esseri umani che Paul avrebbe volentieri ucciso ne avrebbe salvato solo uno ed era l’uomo a qualche metro da lui. Non seppe che fare.
«Invece di startene lì impalato potresti anche aiutarmi» il biondo aveva sorriso per poi fare quanto detto rianimandosi da quel torpore che la visione di Arthur gli aveva lasciato. Finalmente erano di nuovo insieme. Parigi poteva anche bruciare, non gli sarebbe importato.
«Perché sei tornato? Anzi quando?» gli chiese non appena furono soli e la situazione si fosse tranquillizzata;
«Da un paio di giorni» ammise Arthur pulendosi la camicia dalla polvere che ormai la ricopriva;
«Perché non hai risposto ai miei messaggi?»
«Siamo in guerra, potevano trovarmi. Non ti ho insegnato nulla?» Verlaine però non voleva sentire ragioni. Era arrabbiato.
«Pensavo fossi morto»
«Credi che basti così poco ad uccidermi? Mi ferisci» e gli accarezzò il capo; l’altro non si scostò restando in silenzio
«Ti sono cresciuti i capelli» gli fece notare passandosi quei fili biondi tra le dita;
«Non ho avuto modo di tagliarli» rispose cercando di evitare di incrociare quello sguardo. Di colpo ogni cosa aveva smesso di avere importanza. Arthur era tornato. Era vivo.
«Ti stanno bene» disse prima di iniziare a intrecciare tra loro quelle ciocche dorate.
«Che stai facendo?»
«Zitto e vieni più vicino». Il biondo fece come detto.
«Voilà» disse poco dopo Arthur portando il proprio partner davanti ad uno specchio perché ammirasse il risultato del proprio operato. Gli aveva semplicemente spostato i capelli dal volto acconciandoli in una treccia che ricadeva di lato, legando il tutto in una coda bassa.
«Così quando combatti non avrai nulla davanti agli occhi» rispose mettendogli entrambe le mani sulle spalle. Paul stava per dire qualcosa quando l’ennesima esplosione spezzò quell’idillo.
La scena cambiò nuovamente prima che Verlaine potesse rendersene conto.
Era di colpo calata la notte o era semplicemente l’ambiente intorno a lui a essere privo di qualsiasi forma di luce. Mosse una mano a tentoni cercando di capire dove fosse e cosa stesse accadendo. Era forse finito in una trappola del nemico? Lo avevano drogato? Non se lo ricordava. Sentiva che c’era qualcosa di sbagliato ma non riusciva a comprendere cosa. Dove era finito Arthur?
«Così questo è il famoso Black No. 12» una voce sconosciuta lo aveva obbligato ad alzare il capo. Non conosceva l’uomo davanti a lui, aveva il viso semi nascosto da quell’oscurità che permaneva attorno a loro, oltre che possedere un accento difficile da collocare.
«Ho un’offerta da proporti» il biondo non aveva fiatato, rimanendo in attesa della prossima mossa;
L’uomo misterioso schioccò le dita prima di mostragli il corpo di Arthur trapassato da molti fori di proiettile.
Non era possibile. Doveva trattarsi di un’illusione.
«E’ ancora vivo» confermò l’uomo come se avesse letto nei suoi pensieri; Paul provò a fare un passo in avanti.
«Non così in fretta. Abbiamo bisogno di una cosa da te, Black. Il tuo codice. Vogliamo sapere come replicare la bestia del Fauno. Purtroppo i suoi appunti sono andati perduti. Gira voce che siano finiti da qualche parte in Asia, forse Cina o Giappone ma non abbiamo tempo per indagare. È più facile trovare il soggetto originale.»
«E come vorreste ottenere questo codice?» l’uomo sorrise;
«Semplice, ti smonteremo pezzo per pezzo»
«Bastardo»
«Scappa Paul. Non puoi batterlo» la voce di Arthur ora ridotta ad un sussurro lo aveva raggiunto, bloccando ogni suo movimento.
«Certo che posso. Sconfiggerò questo essere che non merita di definirsi umano e poi torneremo insieme a Parigi. Lì ti cureranno»
Il moro si sforzò di regalargli l’ennesimo sorriso.
«Non puoi più salvarmi»
Non puoi salvarlo. Non importa cosa tu faccia. Arthur Rimbaud è già morto.
No. Non poteva essere vero. Ma la voce nella sua testa non la smetteva di rimbombare.
Abbassò il capo. Le sue mani erano sporche di sangue. Come lo era il pavimento ai suoi piedi. Stava impazzendo. Era un incubo.
Arthur è morto in Giappone. Ha tradito la Port Mafia.
No. Si trovavano in Europa, erano ancora in guerra. Non erano mai partiti per quella missione che aveva finito con il dividerli. Verlaine non aveva tradito il proprio partner.
Lanciò un urlo prima di prendersi il volto tra le mani. Era nel suo letto. Era stato tutto un sogno. La porta della stanza si spalancò di colpo e le figure di Carroll e Baudelaire fecero la loro comparsa sulla soglia.
«Che succede?» indagò il francese,
«Nulla» si affrettò a rispondere, spostando la frangia di lato. Non avrebbe mai permesso a quel idiota di godere di quel suo momento di debolezza.
«Avete forse avuto un incubo Mr Verlaine?» si intromise l’altro inglese irritante.
«I mostri non hanno mai incubi. La loro semplice esistenza lo è, un lungo tormento senza fine» e regalò loro l’ennesimo sguardo di ghiaccio.
Dopo qualche istante ed essersi scambiati occhiate perplesse i due decisero di tornare nelle proprie stanze lasciando il Re degli Assassini da solo con i propri pensieri.
Verlaine si passò una mano sul volto, dopo aver giocato distrattamente con i propri capelli. Quella parte del sogno era vera, come quella conversazione al Café. Era stato qualche anno prima di partire per il Giappone, quando lo spettro della guerra aveva invaso il vecchio continente. Aveva preso ad intrecciarsi i capelli dopo quel giorno. Era un’altra delle cose che Arthur gli aveva insegnato.
Ricordava anche quell’uomo tedesco che aveva provato a fare del male al proprio compagno. In quell’occasione Paul aveva perso il controllo, ammazzandolo prima che Rimbaud potesse intervenire per fermarlo.
Erano tornati nella capitale per curare le ferite del moro che erano meno gravi di quanto inizialmente avesse previsto. Quella era stata la prima volta in cui il pensiero di perdere Arthur gli aveva attraversato la mente. Fino ad allora Verlaine non ci aveva mai pensato. In fondo il compagno era umano e in quanto tale prima o poi sarebbe inevitabilmente andato incontro alla propria morte. La cosa che maggiormente gli aveva dato pensiero però era stata la sensazione che aveva sentito nascere nel proprio petto. Si era sentito mancare, come se all’improvviso gli avessero levato l’aria dai polmoni.
Era successo di nuovo il giorno in cui aveva scoperto della morte di Arthur. Il partner che aveva tradito, che aveva creduto di aver ucciso era morto. Solo. In un continente così lontano.
Verlaine non era là e la cosa lo aveva turbato. Aveva passato anni nella convinzione di aver ucciso il proprio partner per poi scoprire che non solo era sopravvissuto ma in quegli anni, in cui era stato privato della propria memoria, aveva condotto una vita diversa. Una dalla quale lui era stato escluso.
Non lo accettava. Non avrebbe mai accettato la morte di Arthur. Lo avrebbe salvato o comunque riportato indietro.
Non puoi salvarlo.
La voce nella sua testa, quella macabra melodia che faceva da sfondo ai suoi pensieri non sembrava volesse dargli tregua.
Non importa quante volte tu ci possa provare il destino è ineluttabile. Non puoi vincere contro di lui.
No. Paul Verlaine non credeva nel destino, era l’ennesima creazione umana. Chiuse nuovamente gli occhi. Le immagini del corpo senza vita del partner gli tornarono alla mente. Chissà come doveva essere stata la sua esecuzione. Il corpo di Arthur sarebbe stato coperto di sangue come continuava a rivederlo nei propri incubi?
Qualcosa gli suggeriva di come Rimbaud sarebbe stato perfetto anche nella morte. Provò a riaddormentarsi cullato dai ricordi di un passato che mai come in quel momento gli sembrava lontano, distante.
Sapeva che i morti non potevano tornare in vita. Non era un bambino, non era un pazzo e non era un ingenuo. Rivoleva solo l’unica persona importante della sua vita e per questo sarebbe stato disposto ad attraversare anche l’inferno, o a scatenarlo.
Avrei voluto farti un altro regalo di compleanno, il primo mi dispiace che non ti sia piaciuto
In quel momento, Verlaine finalmente riconobbe la voce nella propria testa. Era Arthur, era lui che continuava ad affollare i suoi pensieri.
Di riflesso osservò la propria bombetta abbandonata accanto al cappotto. Non lo aveva mai ringraziato per quel regalo. C’erano tante, troppe cose che non era mai riuscito a dire ad Arthur. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per rimediare.
Io sono morto. Non sono altro che un fantasma. Mi dispiace Paul ma dovrai imparare a vivere senza di me.
L’essere artificiale scoppiò a ridere. Non sarebbe certo stata la prima volta in cui avrebbe disobbedito ad un ordine del proprio compagno.
Come aveva detto qualche istante prima, i mostri non hanno mai incubi.
Non possiamo avere un lieto fine Paul, accettalo
Cullato dal suono di quella voce, Verlaine finì con l’addormentarsi di nuovo.
Quella volta non sognò nulla ad attenderlo c’era solo oscurità.