(Bungo Stray Dogs) - Nous Serons
Cow-t 12 – Seconda settimana – M2
Prompt: 009 - Invisibile meraviglia
Fandom: Bungou Stray dogs
Rating: SAFE
Numero Parole: 3664
Note: Missing moment/What if di “Une Saison en Enfer”. Rimbaud pensa a cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente tra lui e Verlaine
Sans nous préoccuper de ce que nous destine
Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas,
Et la main dans la main, avec l'âme enfantine
De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas?
Paul Verlaine - Nous serons
Ieri
Yokohama
Distretto di Suribachi - Laboratorio di ricerca
Sapevano entrambi che quella non sarebbe stata una missione semplice. Lo avevano intuito ancor prima di partire per il Giappone . Anni e anni di esperienza avevano insegnato ad Arthur Rimbaud come giudicare un’operazione dopo solo un’occhiata. Alla spia francese era sufficiente leggere una pagina di rapporto per riuscirne a stabilire il grado di pericolosità. Questa volta lui e Paul avrebbero dovuto infiltrarsi in una base militare di un Paese straniero. Quella missione non avrebbe goduto di nessun supporto logistico. In parole povere, non avrebbero avuto collaboratori interni, nessun backup. Questo perché quell’operazione non doveva figurare in nessun documento ufficiale. In caso di fallimento non ci sarebbe stata nessuna prova dell’intromissione del loro Governo. Erano questi i giochi di potere delle grandi potenze. Le sorti delle persone comuni venivano sempre decisi in eleganti salotti, lontani dal resto del mondo e dalla vera realtà delle cose.
Arthur li aveva sempre odiati. Aveva perso la sua famiglia, Charles, ogni cosa per servire il proprio Paese, inseguendo sogni e promesse infantili. Lo avevano fatto sentire per la prima volta speciale, importante, diverso da tutti. Era stato ammaliato dal suono di dolci promesse, ma era bastato che giungesse all’età adulta per capire di essere stato solo usato, di essere una delle tante pedine sacrificabili su di una scacchiera più ampia.
Fissò intensamente l’uomo biondo seduto accanto a lui. In cambio di quella fedeltà aveva ricevuto in dono più di quanto si sarebbe mai aspettato. Se solo Paul avesse capito la propria importanza, se fosse riuscito ad andare oltre al fatto di essere un essere artificiale, si sarebbe accorto di quanto preziosa fosse la propria vita. Arthur avrebbe conquistato volentieri l’inferno per il bene del proprio compagno. Si sarebbe battuto fino all’ultimo respiro per lui.
L'obiettivo di quella missione era un dotato, una nuova anima artificiale creata sulla base degli appunti del Fauno. Se tutto fosse andato secondo i piani si sarebbero trovati di fronte ad un'imitazione di Verlaine. Nel verbale che Rimbaud aveva ricevuto poco prima della partenza, veniva descritto come un’arma in grado di distruggere il mondo, dalle sembianze di un ragazzino.
In realtà quell’essere sembrava più che altro un bambino. Arthur non ebbe modo di soffermarsi troppo sui dettagli ma a prima vista quello scricciolo non dimostrava nemmeno dieci anni. Lo liberarono dalla teca di vetro in cui era imprigionato. Non notò subito lo sguardo di Paul, ma potè benissimo immaginare i pensieri del proprio partner. In fondo per la prima volta si trovava di fronte a qualcuno di simile a lui. Un qualcuno che potesse comprendere i suoi sentimenti, condividere la sua visione del mondo. Arthur non era uno stupido, sapeva che non sarebbe mai stato in grado di conoscere a fondo ciò che turbava l’animo del biondo. C’era una sorta di muro tra di loro che Verlaine aveva creato, decidendo arbitrariamente di chiudersi in se stesso.
Prese quello scricciolo tra le braccia e lo affidò al proprio compagno dopo averlo avvolto in una coperta. Quel bambino era l’incarnazione di Arahabaki, un dio della distruzione ma ad Arthur sembrò tutto all’infuori di quello. Se non fosse stato certo delle proprie fonti avrebbe pensato di essere nel posto sbagliato.
“Che stai facendo?” Alzò la testa per notare lo sguardo allarmato di Paul di fronte al proprio gesto. Non aveva fatto nulla, solo estratto una siringa dalla tasca del cappotto;
“Devo sedarlo. Non possiamo correre il rischio che si svegli. Non conosciamo ancora la portata del suo potere” solo in quel momento Verlaine sembrò capire e tranquillizzarsi.
“Pensi che possa scatenare una bestia come quella nascosta dentro di me?” chiese con una punta di malinconia che il suo compagno non poté fare a meno di notare.
“Non possiamo escluderlo. Dobbiamo essere pronti ad ogni evenienza” concluse afferrando una delle braccia del bambino. Era davvero esile, gli sarebbe bastato utilizzare un minimo di forza ed era certo che avrebbe potuto spezzarlo. Come poteva una simile creatura essere il contenitore di una calamità come Arahabaki?
Fissò nuovamente il proprio compagno. Paul era totalmente assorbito da quel ragazzino, tanto da non sembrare capace di staccargli gli occhi di dosso, anche lui era un essere di straordinaria bellezza che nascondeva dentro di sé una belva.
“Va tutto bene?” provò a domandare incerto.
Un’esplosione poco distante li costrinse ad interrompere sul nascere quella conversazione.
La loro infiltrazione nella base nemica era proseguita senza intoppi, dovevano solo trovare una via di fuga e la missione poteva dirsi conclusa. Stavano percorrendo per l’ennesimo asettico corridoio quando improvvisamente Verlaire arrestò i propri passi. Arthur lo osservò confuso e allo stesso tempo preoccupato, non capendo quale fosse il problema del proprio partner che immobile lo fissava.
“Dobbiamo sbrigarci, le guardie saranno qui tra poco” furono le sole parole che riuscì a dire cercando di trovare una risposta ai propri interrogativi sul viso inespressivo di Paul.
“Non posso lasciare alla Francia questo bambino. Non lo voglio consegnare a nessuno, posso crescerlo in campagna, senza che arrivi mai a conoscere la verità sulle sue origini”
Arthur fu certo di aver capito male, anche se si era preparato mentalmente ad una simile eventualità. Paul per la prima volta aveva trovato un essere simile a lui. Quel bambino condivideva lo stesso codice genetico del biondo, si poteva tranquillamente definire la versione della bete de Guive successiva a Verlaine. Tentò di essere il più comprensivo possibile, non era il momento giusto per assecondare i capricci del proprio partner.
“Questo ragazzino è come te. Per questo deve venire con noi, solo in questo modo possiamo proteggerlo” sperò di essere stato abbastanza convincente ma dall’espressione comparsa sul viso di Paul seppe che non aveva funzionato. Sembrava ferito in qualche modo da quelle parole.
“Non riesci ad immaginare come il sapere di non essere umano potrebbe influenzare la tua vita? Le tue scelte? Sapere che la propria esistenza non è opera di Dio ma solo il risultato di calcoli e formule matematiche. Che la nostra anima come il nostro corpo è fredda, artificiale. È la stessa sensazione che si può provare a stare sul fondo di un burrone, talmente oscuro che nemmeno la luce della luna riesce ad illuminarlo” No. Arthur non lo sapeva, non avrebbe mai potuto sapere come ci si sentiva. Era il suo limite, per quanto si sforzasse non riusciva a carpire i più intimi pensieri dell’animo di Paul.
“Sei umano…” Non sapeva che altro dire. Lui credeva veramente a quelle parole. Quando osserva il proprio partner vedeva solo il suo bellissimo viso, quei capelli lunghi e setosi, lo sguardo magnetico. Non vedeva la bestia portatrice di distruzione che aveva calpestato il proprio creatore. Lo vide alzare un braccio. Paul impugnava una pistola, doveva averla rubata a qualche guardia durante l’incursione.
Hai intenzione di sparare, Paul?
Restò in silenzio ad attendere il rumore di uno sparo che non arrivò mai. Quando aprì gli occhi, che non si era nemmeno accorto di aver chiuso, trovò il proprio partner inginocchiato a terra con entrambe le mani a coprirsi il volto.
“Non posso farlo” furono le sue uniche parole;
“Io ti odio Arthur ma non posso spararti” continuò. La spia dai lunghi capelli corvini si avvicinò a lui, chinandosi per cercare di vedere quel volto di solito sempre freddo e impassibile distorto per la prima volta da emozioni umane.
“Va tutto bene” tentò di calmarlo, controllando nel frattempo che il suo potere restasse sotto controllo. Cercò di prendere il bambino dalle spalle del biondo, ma l’occhiata che ricevette in risposta lo fece desistere; sembrava una leonessa pronta a sbranare chiunque si fosse avvicinato troppo al suo cucciolo.
“Non ho intenzione di fare nulla” cercò di giustificarsi.
“Vuoi consegnarlo alla Francia. Vuoi che cresca come me”
“Mon Dieu. Paul, sto cercando di aiutarti. Cosa vuoi che faccia? Che tradisca il mio Paese? Va bene lo farò se servirà a qualcosa. Scapperemo con questo bambino e lo cresceremo in campagna esattamente come vuoi. Ti chiedo solo una cosa: hai pensato alle conseguenze?” bastò che Verlaine incrociasse il suo sguardo per capire che no, non lo aveva fatto ma che non sarebbe riuscito a fargli cambiare idea. Si abbandonò ad un sospiro stanco appoggiandosi ad una delle pareti del corridoio.
Dovevano andarsene, presto li avrebbero raggiunti.
“Va bene. Hai vinto” esclamò alzando per l’ennesima volta lo sguardo verso l’alto. Solo in quel momento Paul sembrò rilassarsi. Prese il bambino tra le braccia sistemandogli una ciocca di capelli rossi dietro ad un orecchio.
“Grazie” fu tutto ciò che disse.
***
Erano appena usciti dall’edificio. L’alba stava sorgendo sulla città di Yohokama ignara che nella notte appena trascorsa, in una base militare segreta, fosse stata trafugata un’arma di distruzione di massa. Paul osservò nuovamente l’arma in questione, placidamente addormentata tra le sue braccia. Fu il compagno il primo a parlare, dopo essersi perso a contemplare la loro immagine forse più del dovuto, con un’aria sognante. Quei due insieme erano una meraviglia, tanto belli quanto pericolosi. Arthur si chiese se sarebbe mai riuscito a proteggere quelle creature anche da loro stesse, dalla distruzione che li caratterizzava.
“Dovremmo dargli un nome non credi?” Fu la prima cosa che riuscì a dire continuando a contemplare l’orizzonte e i giochi di colore che il sole creava sulla superficie dell’oceano. Era stata la prima cosa a cui Arthur aveva pensato. In fondo aveva fatto lo stesso quando gli era stato affidato Paul. Il biondo si voltò ma solo per fissarlo confuso;
“Pensaci tu” rispose quasi annoiato per poi tornare a prestare attenzione al piccolo.
“Mi hai dato un nome, puoi trovarne uno anche per lui” aggiunse dopo qualche minuto, intuendo come le proprie parole potessero essere state fraintese. Non era ancora abituato ad esprimersi correttamente.
“Charles” nel udire quel nome, Verlaine alzò il capo solo per cercare di incontrare il suo sguardo. Sapeva cosa il proprio compagno avrebbe voluto chiedergli. Anche se non ne avevano mai parlato apertamente era certo che Paul sapesse di Charles, di cosa fosse stato per lui, cosa aveva rappresentato. Era una stagione della sua vita ormai passata. Charles Baudelaire era solo un fantasma, un ricordo che conservava ancora, nonostante tutto, il potere di ferirlo.
C’era stato un tempo, in un piccolo paesino delle Ardenne, in cui un giovane Paul Verlaine aveva amato Charles Baudelaire. Ora però non restava più nulla di loro, come di quel sentimento infantile che li aveva legati. Erano morti entrambi, di loro rimaneva solo l’eco di ricordi sbiaditi tra le pieghe del tempo.
Forse era stata una scelta dettata dal proprio egoismo, ma di fronte al’insolita richiesta di Paul solo un nome aveva sfiorato la mente di Arthur.
“Charles” ripeté con voce ferma specchiandosi nel blu delle iridi del proprio compagno. Verlaine gli sorrise;
“Se lo desideri” concesse allungando una mano per accarezzare il viso del bambino ancora addormentato tra le proprie braccia.
“Ti somiglia” era davvero un’affermazione banale ma non era riuscito a trattenersi. Vedere Paul e il piccolo Charles insieme gli aveva ricordato il calore di una famiglia. Un’ emozione che credeva di aver dimenticato.
“Charles” continuò a sussurrare Verlaine, cullando il bambino;
“Charles Marie Verlaine Rimbaud, non suona male”
Entrambi sorrisero tornando a contemplare l’alba.
Era un nuovo inizio
***
Di nuovo ieri
Dintorni di Parigi
“Quando torna Paul?” Arthur intento a cucinare; aveva osservato il piccolo Charles per qualche minuto prima di alzare gli occhi al cielo. Aveva accolto seppur con qualche riserva il desiderio del proprio compagno. Stavano crescendo Charles in campagna. A Rimbaud quel posto ricordava molto il luogo che aveva abbandonato per inseguire i propri sogni di gloria. Per servire quello stesso Paese che lo aveva solo sfruttato e che ora lo reputava un traditore. Ad uno sguardo distratto potevano sembrare una famiglia come tante. Per il mondo Charles “Charlie” Marie Verlaine era il fratello minore di Paul che entrambi avevano deciso di crescere insieme dopo la scomparsa improvvisa dei genitori.
Nonostante tutto, Rimbaud e Verlaine avevano continuato a lavorare come assassini su commissione. Niente di troppo pericoloso o almeno quelle erano le loro intenzioni. Paul sosteneva che quello fosse in qualche modo il suo unico talento e lui lo aveva assecondato. Non capiva come non riuscisse mai a negare nulla al biondo, era stato così sin dal primo momento in cui se l’era caricato sulle proprie spalle. Quando aveva visto per la prima volta quel bellissimo mostro da vicino, era stato allora che aveva firmato letteralmente la sua condanna. C’era qualcosa di invisibile che lo legava a quell’essere e nemmeno lui riusciva a spiegarselo. Era impossibile da definire a parole, come lo era l’affetto che aveva sviluppato per quel bambino.
“Sta lavorando” rispose tranquillamente iniziando ad affettare della verdura. Il piccolo incrociò le braccia al petto e lo fissò con lo stesso sguardo di sfida che era solito riservargli il biondo. Era in quei momenti che dimostravano di essere fatti della stessa pasta. Due gocce d’acqua.
“Sta sempre lavorando” si lamentò puntando i piedi .
“Se vogliamo sopravvivere dobbiamo lavorare. Il cibo non cresce sugli alberi e le bollette non si pagano da sole” Arthur sapeva che era inutile intavolare quel tipo di conversazione con un bambino di otto anni, ma non sapeva che altro dire. Charles poteva essere testardo. Preferì non chiedersi da chi mai avesse preso visto che sia lui che Paul avevano dei caratteri difficili.
“Paul dice che una volta non avevate tutti questi problemi” Arthur si appuntò mentalmente di fare un discorso al proprio compagno. Soprattutto su cosa fosse giusto dire e cosa meno al bambino. Vedendo che non stava ricevendo alcuna risposta Charlie continuò;
“È forse per causa mia?” Arthur smise immediatamente di respirare, voltandosi per la prima volta a fissare il figlio;
“Questo non devi pensarlo mai più” disse abbassandosi per poterlo guardare dritto negli occhi. Specchiandosi in quelle iridi identiche a quelle dell'uomo che amava e che per il quale era arrivato a tradire il proprio Paese.
“Non so cosa ti abbia detto Paul ma non devi più pensare ad una cosa simile va bene?”
“Mi ha detto che siete diventati dei criminali per colpa mia” il moro imprecò sottovoce.
“Non mi sembra di aver usato quelle parole” Entrambi si voltarono verso quella voce. Verlaine era appena tornato e si trovava sulla soglia di casa. Il piccolo Charlie gli corse incontro saltandogli letteralmente tra le braccia. Arthur invece mantenne un’espressione seria e leggermente irritata;
“Gli ho solo raccontato di come la nostra vita fosse diversa prima del suo arrivo” spiegò l’ex spia che da qualche tempo si era guadagnato il soprannome di Re degli Assassini.
“Mi sei mancato Paul” bastò questo per lasciar cadere la questione.
Quella stessa sera, quando furono finalmente soli, Rimbaud decise di riprendere quel discorso.
“Devi fare attenzione a ciò che racconti al bambino” lo ammonì. Paul lo fissò confuso.
"Perché?”
“Hai voluto a tutti i costi salvarlo dal Governo per crescerlo come un normale essere umano. Non puoi svelare troppo sul nostro passato, come sui dettagli della sua ehm nascita” non era certo di aver trovato le parole adatte per esprimere al meglio le proprie preoccupazioni. La pace che si erano ritagliati era effimera, bastava solo un passo falso per far svanire l'illusione in cui si erano rifugiati. Avrebbe difeso Paul e Charles fino al suo ultimo respiro. Era la sola certezza di cui al momento disponeva.
“Inizia a fare domande” Arthur non potè evitare di sorridere;
“E’ un bambino, è normale che sia curioso” il biondo storse il naso;
“Non è un bambino è un’anima artificiale esattamente come il sottoscritto” Rimbaud gli tirò un cuscino;
“Se non la smetti questa notte dormirai sul divano, e non sto affatto scherzando”
“Era da tanto che non mi minacciavi” gli fece notare avvicinandosi;
“Disse quello che mi puntò addosso una pistola”
“Non avrei mai sparato” rispose offeso
“Ma se lo avessi fatto? Pensi mai a cosa sarebbe successo?”
“Avremmo combattuto. Io ti avrei ucciso e sarei fuggito con Charlie” Arthur lo spinse via, facendo leva con entrambe le braccia;
“Sei veramente sicuro che le cose sarebbero andate in questo modo?” Non aveva mai voluto soffermarsi troppo sull’idea di dover affrontare il proprio compagno, ma era certo che non sarebbe stato così semplice, gli avrebbe dato del filo da torcere.
“Per fortuna non dovremo mai saperlo” concluse Verlaine dirigendosi verso la cucina per poi afferrare una bottiglia di vino e un paio di bicchieri. Arthur lo fissò confuso per qualche secondo;
“Cosa si festeggia?” Paul scoppiò a ridere;
“Un anno fa ti sei presentato nel nostro nascondiglio con un budino e del vino sostenendo di voler festeggiare la mia nascita e ora manco te lo ricordi” Rimbaud si diede mentalmente dello stupido, si era dimenticato il compleanno del proprio compagno.
“Quali erano state le tue parole, ah si: vale la pena festeggiare la tua nascita” annunciò con fare solenne.
“Perdonami. Non so davvero dove io abbia la testa” ammise accettando il bicchiere che il biondo gli stava porgendo. Era incredibile, si era dimenticato il compleanno del proprio partner.
“Passi le tue giornate ad occuparti del lavoro, di me e Charlie” Arthur si stupì di quanto il biondo fosse maturato. Il piccolo Charles aveva fatto crescere entrambi in un certo senso, ma quelle parole lo avevano sorpreso.
“Grazie” fu tutto ciò che riuscì a dire.
Paul intanto si era fatto più vicino. L’ex spia chiuse gli occhi aspettando un bacio che non arrivò mai.
***
Oggi
Yokohama
Distretto di Suribachi
Secondo una credenza popolare, un attimo prima di morire si ripercorre come in un film la propria vita. Si rivedono i momenti tristi, quelli felici. Non vi era niente di più falso. Arthur Rimbaud aveva visto chiaramente cosa sarebbe successo se quel giorno di tanti anni prima, le cose fossero andate in una maniera diversa. Se avesse seguito il proprio cuore invece che la ragione. Lui e Paul avrebbero cresciuto insieme quel bambino senza nome, dopo essere fuggiti da quel laboratorio di ricerca. Lo avrebbero chiamato Charles e allevato in campagna come il biondo desiderava. Non sarebbe stato facile ma avrebbe in qualche modo funzionato. Sarebbero stati felici. Una famiglia felice.
La realtà era ben diversa. Lo aveva ricordato nitidamente qualche istante prima.
Non aveva mai assecondato il desiderio di Paul. Quel giorno, il proprio partner aveva alzato la pistola contro di lui e aveva fatto fuoco. Avevano combattuto finendo per distruggere il distretto intorno a loro. La bestia si era scatenata e aveva abbattuto ogni cosa, facendo tabula rasa anche della sua memoria.
Arthur Rimbaud aveva perso ogni ricordo della propria vita prima dell’incidente di Suribachi. Aveva vissuto per otto anni senza un passato per poi riaverlo un attimo prima della fine.
In quel momento, mentre osservava il possessore di Arahabaki in piedi di fronte a lui, non poteva fare a meno di trovarvi somiglianze con Paul. L’uomo che aveva amato e che credeva di aver ucciso con le proprie mani. Non vi era nessun Charles “Charlie” Verlaine Rimbaud, non c’era mai stato. L’incarnazione del Dio del Caos si chiamava Nakahara Chuuya ed era molto più potente e umano di quanto sia lui che Paul avrebbero mai potuto immaginare. Soprattutto lo sguardo di quel ragazzino. Non era freddo e distante come quello del partner che ricordava ma molto più tiepido e animato da mille sfumature ed emozioni. Chuuya aveva trovato la propria umanità, era cresciuto senza di loro, senza un passato, eppure lo aveva sconfitto.
Rivide Verlaine in quello sguardo. La somiglianza tra i due era innegabile, lo aveva pensato sin dal primo momento. Una parte di Rimbaud avrebbe voluto poter tornare indietro, ma solo per poter chiedere perdono ad entrambi. Al biondo per averlo tradito e non aver appoggiato la sua utopia e a Chuuya per non averlo protetto da quel mondo che aveva sempre pensato di sfruttarlo come arma.
Gettò uno sguardo anche all’altro demone contro cui aveva combattuto. Dazai Osamu. Il pupillo di Mori Ougai, suo braccio destro e successore al trono della Port Mafia. Sin dal primo istante aveva capito come quel moccioso fosse pericoloso. C’era una sorta di oscurità nascosta dentro quelle iridi. Avvertiva dei brividi ogni volta che incrociava lo sguardo di quello che era tutto tranne che un ragazzino.
Dazai Osamu sarebbe diventato il partner di Chuuya, lo aveva intuito sin dal primo momento in cui aveva visto quei due nella stessa stanza. Il Boss Mori poteva essere un abile stratega ma per un ex spia non vi erano segreti. Il piano di quell’uomo era geniale nella sua semplicità. Unire un Dio della devastazione con un essere la cui Abilità consisteva nell’annullare tale potere. Dazai era una garanzia sulla pericolosità di Chuuya, sarebbe sempre intervenuto per fermarlo. Come a suo tempo lui stesso aveva fatto con Paul. Sorrise, sentendo pian piano il suo corpo farsi sempre più caldo. Finalmente il gelo che gli attanagliava lo spirito lo stava abbandonando. Quella era la vera pace.
Si concentrò ancora su Dazai implorandolo con un’occhiata di badare a Chuuya. Sapeva che non sarebbe servito. Il Demone Prodigio della Port Mafia avrebbe in qualche modo tenuto al guinzaglio quella piccola testa calda. Ciò le legava quei due poteva essere simile a ciò che un tempo lo aveva unito a Paul, quell’invisibile meraviglia che solo ora, al termine della propria vita poteva dire di aver compreso.
Aveva sprecato tanto tempo ed energie quando gli sarebbe bastato ascoltare la voce del proprio cuore. Aveva perso troppe persone importanti, Charles, Paul, almeno se ne sarebbe andato con la consapevolezza di aver lasciato Chuuya in buone mani.
Con questi pensieri chiuse gli occhi. Sapeva che non era ancora giunta la fine. Lo avrebbero giustiziato per tradimento, ma in fondo andava bene così, aveva in mente un piano per ricongiungersi a Paul. Sarebbe andato tutto bene.
Una stagione si era appena conclusa e una nuova sarebbe iniziata.